Nell’era dell’informazione istantanea le chiacchiere diventano notizie

In the age of instant information, rumors are the real thing.
(M. McLuhan)

Nell’era dell’informazione istantanea le chiacchiere diventano notizie. Da sociologo invito a riflettere sulla storia di un fenomeno che è esploso nell’era della trasparenza, dove nulla si può nascondere. Contraddizione determinata dalla velocità di diffusione dell’informazione che impone un nuovo contratto sociale fra lettore-utente e il mondo dei media fondato sulla fiducia e non più sull’evidenza. Oggi la realtà si basa sul consenso e sull’interpretazione tendenziosa. La lotta attuale si consuma fra la trasparenza e la distorsione del reale perché nell’era della post-verità l’opinione pubblica manipolata dal potere arriva sino a negare il reale. Si appoggia su filter bubbles e sull’emergenza spontanea di echo chamber che nei vari media sociali come Twitter fanno rimbalzare le nuove news. Fake news è news? Secondo me le fake news sono figlie del citizen journalism e nascono quale forma d’arte, scherzo, per creare un vantaggio commerciale o spingere a false valutazioni come in politica, soprattutto, durante un periodo elettorale.

Quale esempio di politica attuale ricordo il caso Filllon e Trump. (Potrei aggiungere il ruolo di Comey con l’intervento last minute contro Hillary Clinton ma preferisco attenermi a quanto è in corso). Bisogna considerare le fake news non solo come menzogne fattuali, ma anche come distorsioni delle notizie reali, pratica non tanto diversa dall’alternate fact, invenzione di Kellyanne Conway: rilettura dei fatti attraverso interpretazioni tendenziose. Coraggiosamente, i media e la giustizia cercano di resistere alla menzogna palese, però sono simmetricamente accusati dal potere di distribuire fake news e di manipolare l’opinione pubblica. La tendenza attuale è inversa rispetto alla doxa antica, quando Platone e Aristotele lottavano per inserire il reale (chiamato episteme o scienza) dentro l’opinione. La post-verità segnala un grande cambiamento cognitivo, vissuto globalmente. La realtà diviene prodotto della volontà non dell’evidenza.

Sparisce il referente. La prova della realtà dei fatti non è più necessaria né pertinente. L’arrivo del concetto di alternate facts significa irrilevanza del fatto. Stabilire l’autenticità e la coerenza delle notizie (giornalistiche o scientifiche) non è più una priorità. Perché? Perché il mondo virtuale sta superando il reale. Il virtuale è una finzione, un sogno svegliato. Il nuovo potere è dirigere il sogno. I Big Data trasformano il reale in statistiche. Si realizza la predizione di Alan Kay “Don’t just predict the future, create it”. La moltiplicazione e la complessità degli algoritmi, l’ubiquità e la velocità dell’informazione creano condizioni, dove non c’è tempo per verificare, ecco come si arriva a manipolare l’informazione. I social media sono la maglia debole della verità.

Zuckerberg segnala con un bottone rosso le notizie controverse, basta? Potenzialmente una cura nella stessa rete è possibile perché nell’era dei Big Data, la verità si sposta. Non abbandona totalmente la prova empirica, ma va verso un sistema di modellizzazione basato su dati. Realtà e statistica, una cosa sola! Intanto il problema della libertà non è secondario nelle regole della datacrazia. Quali sono le regole, chi controlla? La datacrazia può aiutare la verità, però richiede la trasparenza completa intesa quale impossibilità a rifugiarsi nella menzogna.
Conto su un nuovo ordine politico dove il ruolo del giornalismo responsabile e la protezione del whistleblower sono la base del contratto sociale.

Derrick de Kerckhove

FONTE Media2000

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