Cambia il clima, ma rimane sempre il vento
Per ridurre la temperatura del pianeta aumentata a causa dei mutamenti climatici sarà necessario ridurre la produzione di energia da fonti fossili e fare ricorso a quelle alternative come l’eolico
I cambiamenti climatici sono un argomento all’ordine del giorno che si impone con forza nelle scelte politiche in ogni campo, anche, e forse principalmente, in quello dell’energia. Aumenteranno le ondate di calore che hanno investito in alcune giornate estive pure Campobasso. La temperatura media del nostro pianeta è destinata a crescere di 1,5 gradi, se non 2, rispetto a quella misurata nel cinquantennio che va tra il 1850 e il 1900 e ciò avverrà in questo secolo. Lo scioglimento progressivo dei ghiacciai porterà ad un innalzamento del livello del mare che è stimabile in un minimo di 26 centimetri ed un massimo di 82.
Mentre si incrementa la temperatura è prevedibile una diminuzione delle precipitazioni; a quest’ultima, di nuovo un’alternanza fra ciò che sale e ciò che scende, si contrappone un aumento di eventi meteorologici estremi. Da quest’ultimo fenomeno deriva un maggior numero, da un lato di frane e, dall’altro, di alluvioni. La diminuzione della piovosità porta all’inaridimento del terreno il quale ha come conseguenza prevedibile quella dell’innesco di processi di desertificazione. Il Molise già oggi, nella fascia di territorio a confine con la Puglia, è minacciato dalla desertificazione. La riduzione delle precipitazioni insieme alla salita della temperatura è destinata a favorire gli incendi boschivi, un rischio da scongiurare se non si vuole la distruzione di una importante componente del paesaggio molisano, che è collinare e montano essenzialmente, costituita dal patrimonio forestale, intaccato più volte in passato dal fuoco.
L’estremizzazione delle precipitazioni, questa volta non la diminuzione, è un fattore di pericolo per la stabilità del suolo specie nella parte centrale della regione dove vi è la prevalenza di formazioni geologiche argillose, maggiormente predisposte all’erosione e quindi, pure per questa via, alla perdita dello strato di terra fertile, alla desertificazione. Per quanto riguarda le inondazioni, che come si è detto saranno più frequenti, cioè con più ristretti «tempi di ritorno», esse interessano gli ambiti di pianura e, perciò, in primo luogo la zona costiera. Nelle aree urbane, poiché coperte estesamente da cemento ed asfalto, materiali impermeabili, vi sono difficoltà superiori nel favorire il deflusso delle acque frutto di qualche straripamento.
Qui da noi le preoccupazioni sono concentrate sull’agricoltura, un settore essenziale per le prospettive di sviluppo regionale, che subirà ripercussioni dai cambiamenti climatici in corso i quali determinano frane e isterilimento del suolo, come si è esposto sopra, in definitiva perdita di superficie agraria. Le pratiche agricole, inoltre, saranno costrette a modificarsi per via della carenza d’acqua la quale costringerà a eliminare, almeno parzialmente, le coltivazioni troppo idroesigenti e questo fatto avrà ricadute negative sull’economia del basso Molise in cui è stata l’irrigazione a permettere il decollo del settore primario. Risparmiare le risorse idriche è uno dei capisaldi delle strategie di adattamento che si stanno mettendo in piedi a livello internazionale, europeo e nazionale che sarà necessario trasferire alla scala regionale.
La lotta ai mutamenti del clima assegna un ruolo decisivo al comparto energetico; la produzione di energia, linfa vitale della società, è un nodo cruciale nelle politiche da adottare sia per contrastare l’incremento dei gradi centigradi sul pianeta (la combustione nelle centrali convenzionali emette gas serra) sia per adattare la specie umana alle nuove condizioni climatiche. La conversione del modello energetico attuale nel quale ancora hanno un peso preponderante gli impianti alimentati dai derivati del petrolio non può non far leva sulle energie alternative. Per quanto concerne le rinnovabili, va considerato, comunque, che l’idroelettrico è destinato a subire una flessione per quella scarsità d’acqua che è nelle previsioni e che per le biomasse non saranno consentite colture dedicate le quali costituirebbero sottrazione di suolo alla produzione alimentare, intollerabile nel futuro quando sarà ipotizzabile un decremento del terreno agricolo.
Quest’ultima osservazione vale pure per il fotovoltaico ammissibile solo sulle coperture, ma non sui campi. Allora non rimane che l’eolico nei cui riguardi, però, si nutrono perplessità legate innanzitutto all’impatto visivo. Eppure, nonostante l’evidente incidenza sul paesaggio di questi pali, è necessario assicurare un quantitativo consistente di energia prodotta dal vento per limitare i danni derivanti dalla mutazione dell’assetto climatico sulla Terra. Danni che riguarderebbero anche il patrimonio culturale del quale quello paesaggistico è parte. I movimenti franosi, tipo quello che sta interessando Civitacampomarano o quello che ha distrutto un pezzo di Monacilioni, rischiano di annullare interi insediamenti storici e monumenti isolati, prendi il convento di S. Nazario a Morrone del Sannio.
Le piene impetuose danneggiano i resti archeologici situati in pianura e ciò, per fortuna, nella nostra regione non si è finora verificato essendo rimasta allo stadio di pericolo senza tramutarsi in danno l’innalzamento del livello del Volturno nei pressi della Cripta dell’Abate Epifanio un decennio fa circa, perché non si superò la soglia di guardia. A causa dell’elevata densità abitativa in Italia è difficile reperire aree dove installare impianti eolici; le uniche disponibili risultano quelle appenniniche (le Alpi sono escluse in base all’assenza dei requisiti di ventosità richiesti). Qui si è di fronte a due tipologie, quella delle centrali eoliche e quella della torre a sé stante.
Le prime con l’affollamento dei piloni conducono addirittura ad un mutamento di significato degli areali nei quali vengono collocate che passano nel modo di sentire da rurali a industriali nonostante, mettiamo, la convivenza con qualche attività agricola o zootecnica. Le turbine che stanno appartate, non in gruppo, riescono a raggiungere un maggior grado di integrazione con il territorio rimanendo, ad ogni modo, degli elementi emergenti percettivamente; il contesto in cui la torre è inserita non subisce una alterazione radicale, al contrario di quanto accade per i comprensori interessati dalla localizzazione delle centrali eoliche vere e proprie. Da ciò e dalle riflessioni precedenti sui cambiamenti climatici ne deriva una tollerabilità delle pale singole superiore a quella dei raggruppamenti di turbine che, pure si ritengono indispensabili.
Francesco Manfredi Selvaggi641 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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