Venafro, la porta del Molise

Venafro è stata per millenni, fino all’espansione urbana contemporanea, quasi confinata in una posizione marginale alla grande piana del Volturno; qui si trova chiusa alle spalle da importanti rilievi montuosi i quali offrono protezione alla nostra città dalle perturbazioni provenienti da settentrione, generalmente fredde. Anche perché prossima al Tirreno il clima è di tipo mediterraneo e quindi ben diverso da quello che caratterizza una gran parte del Molise che è, invece, continentale, con il primo connotato dall’essere temperato.

La cima maggiore è monte S. Croce con i suoi m. 1026 s.l.m. e ve ne sono diverse altre che raggiungono i 1.000 metri di quota e sono i monti Cesima (con il suo lago artificiale, bacino di carico della centrale idroelettrica di Presenzano), Colle S. Domenico, Sambucaro, Corno, questi ultimi due rientranti in un Sito di Importanza Comunitaria. Sono emergenze montagnose significative tanto da costituire confine con il Lazio e la Campania. A prescindere dall’altitudine la barriera orografica che sovrasta Venafro appare come una montagna imponente e ciò lo si può capire se si tiene conto che il centro storico è a m. 222 e la piana, nel suo punto più basso, è a m. 158 e, dunque, il dislivello con il crinale è notevole. A conferire imponenza al monte è, da un lato, la pendenza accentuata e, dall’altro, l’affiorare di spuntoni rocciosi, alcuni dei quali occupati da torrette di guardia, ambedue caratteri tipici della montagna e, cioè, che la rendono riconoscibile come tale.

Il paesaggio in cui è inserito Venafro è connotato da forme fisiche decise che sono, appunto, il rilievo montano e la pianura; se sono elementi geografici semplici, addirittura elementari, sono, però, in grado di conferire una impronta sicura al contesto paesaggistico. Oltre alla zona pianeggiante e a quella più elevata c’è, però, pure una fascia intermedia che è assai interessante paesaggisticamente. Si pensi solo all’ambito del Parco dell’Ulivo dove gli uliveti sono terrazzati con bei muretti a secco in quanto il versante è abbastanza ripido. È da evidenziare che fino ad un’altezza di 400-500 metri il terreno si presta bene alle colture arborate: qui si trovano gli ulivi antichi mentre nella pianura vi sono uliveti di impianto recente che hanno trasformato l’assetto di quest’area. Nella medesima porzione del territorio c’è l’abitato storico di Venafro che consente, nonostante la perifericità nei confronti della piana, ancora la sua centralità nei quadri visivi sia rispetto all’insediamento urbano sia all’intero comprensorio, quello umanizzato evidentemente, collocandosi questo agglomerato nel suo baricentro.

Conviene per evidenziare quanto detto fare un paragone con Boiano, anch’essa municipio romano, sede di diocesi, localizzata in ambito pianeggiante e addossata ad un massiccio montuoso, da cui risalta la differenza che i campanili, le cupole, il castello e, di conseguenza, l’aggregato antico risultano nella situazione di Venafro ben visibili da lontano, mentre nel capoluogo matesino la fortezza longobarda e poi normanna è staccata dal nucleo urbano, trovandosi a Civita Superiore, e le chiese, tra le quali la cattedrale, sono nel piano dove passa il tratturo. Se Venafro costituisce un punto focale nel paesaggio lo è di certo non solo per la sua visibilità o per quella dei suoi monumenti, ma lo è principalmente, e ciò la accomuna a Boiano e pure a Larino e Trivento, per il ruolo che nei secoli ha svolto di polo amministrativo, ecclesiastico e commerciale e, in definitiva, che la carica semantica che porta con sé. La preminenza, va sottolineato, nel comprensorio di appartenenza non è una cosa scontata, in qualche modo dovuta per il suo illustre passato, per esprimendoci diversamente, per il nobile lignaggio, bensì uno status che bisogna essere capaci di conservare nel tempo e Venafro è stata in grado di mantenere la sua funzione direzionale e di servizio per il circondario fino ad oggi; in questo caso il confronto più illuminante è con Saepinum, identica per origini e subito decaduta.

Il sito dell’insediamento romano a Venafro è in continuità con quello medioevale quando la popolazione si ritira sull’altura sia per ragioni di sicurezza sia per allontanarsi dagli impaludamenti che hanno interessato il fondovalle una volta che è venuto meno il sistema di regimazione delle acque dei romani. La testimonianza chiara di questo abbandono del piano è il Verlasce che da anfiteatro, quindi fulcro della vita sociale, si trasforma in una serie di magazzini agricoli, partecipe, pertanto, del territorio rurale e non dell’organismo urbano. La pianura è naturalmente soggetta agli allagamenti dovuti dai corpi idrici che la percorrono. Per inciso, si nota che queste acque non venivano sfruttate per dissetare gli abitanti necessitando l’acquedotto augusteo di Rocchetta al Volturno. La rete idrografica segue una sorta di schema ad albero con il Volturno che ne rappresenta il tronco nel quale confluisce, nel comune di Sesto Campano proprio al confine regionale, il S. Bartolomeo la cui portata è diminuita a causa della captazione della sorgente. Affluente di quest’ultimo è la Rava Pozzilli, un torrentello modesto che diventa rovinoso durante le sue piene improvvise.

Della presenza fluviale è intrisa la piana ed essa diventa l’elemento qualificante dal punto di vista naturalistico con l’oasi delle Mortine del WWF, una zona umida lungo il corso del Volturno. La pianura è stata oggetto di bonifica idraulica la quale è determinata dalla rettificazione di corsi d’acqua minori (invece di creare canali artificiali) e da stradine con andamento sempre lineare. Si colgono in una campagna così livellata episodi architettonici di notevole qualità e consistenza che emergono dalla piattezza dell’agro; sono i cosiddetti casini signorili posti nel baricentro di vasti latifondi (ad esempio quello della famiglia Armieri denominata tenuta). Si è definita dendriforme l’idrografia e questo termine si addice pure alla viabilità molisana della quale il tratto attraversante Venafro ne rappresenta l’inizio e, in precedenza, era pure il passaggio obbligato per l’Abruzzo da parte di chi dalla capitale del regno di Napoli voleva raggiungere tale lontana provincia (la Strada degli Abruzzi).

Oggi con la costruzione della galleria Nunziata Lunga che congiunge con il Lazio l’arteria storica è diventata una direttrice per certi versi secondaria anche se, poiché si sviluppa in suolo pianeggiante, sta acquistando una nuova ragione d’essere, oltre quella di collegamento con la Campania, che è di attrazione di attività produttive almeno nelle intenzioni del progettista del piano regolatore e di iniziative commerciali con l’apertura di nuovi esercizi di vendita che risultano allineati lungo il suo tracciato. È da segnalare inoltre la presenza della linea ferroviaria, anzi due, una per Napoli e l’altra per Roma.

Francesco Manfredi Selvaggi580 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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