Cura appropriata quanto basta

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Nel verificare che le prestazioni sanitarie sono quelle idonee bisogna tener conto anche del tempo di ricovero previsto. Bisogna tendere alla diminuzione della sua lunghezza per liberare i posti letto.

L’assistenza sanitaria italiana nell’ultimo mezzo secolo è cambiata totalmente. All’inizio, cioè negli Anni 60, le strutture ospedaliere erano rimborsate sulla base delle giornate di degenza dal mondo mutualistico e, solo per i più poveri, dalle istituzioni pubbliche. Dal ’78 in poi, con la nascita del Servizio Sanitario Nazionale, il rimborso divenne a piè di lista, senza distinzione tra i pazienti. Ambedue le modalità di finanziamento non incentivavano gli istituti di cura a incrementare l’efficienza dell’assistenza. Si rendevano necessarie ingenti risorse finanziarie per sostenere le attività dei nosocomi le quali arrivarono ad ammontare a circa la metà del fondo sanitario nazionale.

Bisogna aspettare il 1995 per avere un mutamento di questa situazione quando anche nel nostro Paese venne adottato il metodo di finanziamento, in uso da tempo negli Stati Uniti, incentrato sui DRG, o meglio sulle tariffe a ciascuno di essi corrispondenti. La tariffazione, il cui importo può essere graduato dalle Regioni rispetto a quello fissato dal Ministero, non ha un corrispettivo nei costi sostenuti per le varie prestazioni per cui le aziende ospedaliere vengono stimolate a ridurre tali costi per aumentare i ricavi e in questa maniera si ottiene l’eliminazione degli sprechi, dei quali, invece, non ci si curava troppo nei sistemi precedenti.

Nello sforzo di abbassare i costi si rischia, però, di abbassare contemporaneamente il livello qualitativo dei servizi erogati, problema che si pensava di risolvere mettendo in concorrenza fra loro gli enti assistenziali con il cittadino, che oramai, aveva il diritto di scegliere dove farsi curare; la scelta non è solo tra organismi pubblici estendendosi pure a soggetti privati anche extraregionali. Il DRG porta con sé due ulteriori vantaggi che derivano dalla identificazione immediata dell’azione curativa effettuata i quali sono, da un lato, quello della trasparenza e, dall’altro, quello del rendere agevole il controllo.

Controlli, quelli da svolgersi da parte dell’autorità regionale, che non servono esclusivamente a rettifiche delle fatturazioni trasmesse dagli erogatori per ricevere il pagamento del servizio svolto, quindi semplice verifica della bontà dell’operato in termini di regolarità contabile, ma anche di valutazione della bontà delle cure somministrate. A quest’ultimo fine è centrale il concetto di “appropriatezza” da applicarsi alle prestazioni che si vanno ad esaminare da parte dell’organo ispettivo della Regione.

Per capire il senso di tale metodo e a che cosa esso mira è opportuno rifarsi al vocabolo di significato opposto, cioè inappropriatezza; sono inappropriati i ricoveri ospedalieri per patologie che sarebbero potute essere trattate in un altro regime assistenziale, mettiamo in day hospital, con uguali risultati. Da tale deospedalizzazione, possibile per alcuni stati patologici, si ottengono tre tipi di vantaggi che si illustrano di seguito. Il primo è che c’è un utilizzo di minori risorse economiche essendo notevoli quelle che assorbe il ricovero ospedaliero per l’impegno di personale in corsia e nei servizi mensa, pulizia, ecc. e per il funzionamento dell’organismo edilizio (riscaldamento, illuminazione, ecc.).

Il secondo ordine di benefici è quello relativo al benessere del paziente perché meno tempo in ospedale equivale a meno disagi, il principale dei quali è l’essere esposto ai rischi connessi all’ospedalizzazione tra cui quello di contrarre infezioni. La terza ragione è di natura, per così dire, strutturale ed è legata all’obbligo che ha la nostra regione di riduzione del numero di posti letto ospedalieri essendo esso attualmente superiore allo standard nazionale. Un contributo significativo alla diminuzione dei posti letto può, di certo, venire anche dalla contrazione del quantitativo di cure da soddisfare mediante il ricovero nel nosocomio, da sostituirsi con l’assistenza in day hospital o in ambulatorio, come si è già detto.

L’appropriatezza di una prestazione sanitaria, poi, va messa in relazione alla lunghezza della degenza la quale può a volte risultare, appunto, inappropriata. La causa dell’allungamento delle giornate di permanenza nel reparto dell’ammalato è, se le procedure non sono scritte in modo esatto, quella che non si è anticipato in una fase precedente, la ricerca della diagnosi della patologia; da un lato è un danno per l’assistito che è costretto ad aspettare più giorni nella camera del reparto e, dall’altro lato, è uno svantaggio per l’ospedale in quanto rimane occupato inutilmente il posto letto.

Vale la pena analizzare in maniera più approfondita queste due, distinte, problematiche iniziando dall’ultima e sottolineando che vi è l’esigenza di non intasare le sezioni ospedaliere facendovi stazionare i malati prima e dopo l’erogazione della prestazione sanitaria troppo a lungo. Infatti, i letti liberi servono tanto per le urgenze quanto per consentire di ritardare la dismissione di pazienti sottoposti ad operazione che sono affetti da malattie impegnative per cui è prudente mantenerli in osservazione in reparto.

Al di là dei casi gravi i posti letto disponibili servono a consentire ai pazienti che hanno problemi famigliari o di ordine sociale, nonché psicologico in attesa di una sistemazione extraospedaliera congrua, oppure che abitano lontano dalla sede ospedaliera, da raggiungersi per un controllo postoperatorio ravvicinato, di rimanere in reparto qualche giorno in più. Gli ispettori che devono vagliare la correttezza delle fatture di fronte a tali costi dovrebbero adottare un atteggiamento comprensivo perché di norma l’appropriatezza la si attribuisce, una delle condizioni, a ricoveri che non durano oltre i 4 giorni.

Per quanto riguarda l’altro punto, che è, poi, il punto di vista del malato, quello da cui guarda le cose, il rendere corto il periodo di degenza va nella direzione dell’obiettivo dell’umanizzazione delle cure che ogni struttura sanitaria dovrebbe perseguire. La qualità, mettendosi dalla parte dell’ammalato, è non lasciare che vi siano momenti morti nel trattamento assistenziale il che non equivale a dire che bisogna accelerare, bensì che non si perda tempo per cui occorre programmare bene, mettendo al centro il paziente, la successione delle attività diagnostiche e operatorie.

È colpa dell’organizzazione ospedaliera, sicuramente, quando vi sono disfunzioni procedurali, ma non è escluso che qualche assistito, magari per eludere il pagamento del ticket che è dovuto per le prestazioni laboratoriali e, pure, ambulatoriali, cerchi di accedere al ricovero, e ciò più che una furbata appare il frutto di difficoltà economiche nelle quali, eventualmente, versa. È proprio la presenza di fattori umani che fa ritenere che l’esame dell’appropriatezza non debba essere un atto burocratico astruso.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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