Soprasuolo o sottosuolo, è sempre archeologia

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Questa disciplina non si occupa, di certo, solo di ciò che è sottoterra, non opera, cioè, solo con gli scavi, perché riguarda anche i resti antichi presenti in superficie, dai santuari sanniti ai monumenti romani di Altilia. La preistoria, invece, va indagata con prospezioni in profondità.

Una premessa doverosa è che parlando di archeologia si sconfina anche oltre la fine dell’impero romano (476 d.C.) perché i metodi di ricerca che si adoperano, trattandosi, quelli altomedioevali, spesso, di edifici a rudere, sono di tipo archeologico. Sarà perché la nostra terra durante quelli che si chiamano i secoli bui era pressoché spopolata tanto che il duca longobardo di Benevento pensò di dover inviare qui per ricolonizzare la regione una tribù bulgara non si reinvengono testimonianze della vita civile.

Rimangono però evidenti, quelle lasciate dall’ordine benedettino, perciò di natura ecclesiastica, il quale fondò numerosi monasteri, da S. Vincenzo al Volturno a Canneto di Roccavivara a S. Brigida di Civitanova del Sannio, favorendo l’inizio della ripresa delle attività economiche, in particolare dell’agricoltura. Dunque, ci restano di quella società segni religiosi piuttosto che politici, o meglio militari dei quali i più conosciuti sono i castelli di Roccamandolfi, Boiano e Tufara.

L’archeologia cristiana costituisce una parte significativa dell’eredità archeologica molisana per l’importanza storica del complesso conventuale di S. Vincenzo al Volturno e, perciò, è una eredità non trascurabile. Ciò nonostante l’età su cui si sono concentrati per tanti anni gli studi degli archeologi è quella che definiamo classica la quale comprende la civiltà sannitica e quella romana. Solo nell’ultimo mezzo secolo si è sviluppato l’interesse per ciò che sta prima e ciò che sta dopo questo “periodo aureo”.

Il mondo antico è stato assunto quasi a mito nel Molise e ne aveva ben donde per la ricchezza monumentale dei santuari italici, da un lato, dall’altro lato, per il cospicuo lascito di Roma leggibile nella struttura di diversi dei nostri centri urbani oltre che per Altilia, anch’essa città, ma a differenza degli altri Municipi che sono ancora abitati, essa è priva di residenti, in aggiunta, devono aver concorso a sviluppare le conoscenze sulla popolazione sannitica e sulla dominazione romana ragioni di matrice ideologica, per la prima le quali aveva osato sfidare l’Urbe un po’ di orgoglio nostrano, per la seconda la volontà di esaltare la romanità da parte del regime fascista, la quale è funzionale pure decenni avanti all’intento del neonato Stato nazionale di eliminare le diversità locali per giungere all’unificazione culturale dell’Italia.

Motivo su motivo, un peso sicuramente lo ha avuto pure il fatto che gran parte dei manufatti tramandatici sono a vista, sono soprasuolo, limitati essendo quelli che stanno sottosuolo, tra i quali si cita, per la loro bellezza, quelli che stanno al di sotto della cattedrale di Isernia (peraltro, un lato del podio del templio sannita è visibile da corso Marcelli). Ciò deve aver favorito gli approfondimenti storici. Invece delle fasi della nostra storia che precedono e seguono le civilizzazioni sannite e romane i reperti si trovano sottoterra.

È da dire che per quanto riguarda l’abbazia costruita alle sorgenti del Volturno se ne avevano notizie dal Cronicon Volturuenses, e così di quella situata nell’agro di Civitanova citata con la denominazione di De Iumento Albo e, pertanto, seppure non visibili in superficie (in verità, un testimone rimasto di S. Brigida è il campanile, così come di S. Vincenzo la fila di archi che dovevano limitare una corte). In definitiva, le indagini sono andate, per così dire, a colpo sicuro in questi casi. A spingere i ritrovamenti ha influito, di certo, la sacralità ancora avvertita nei luoghi: sono due esponenti del clero ad essere stati i pionieri nella riscoperta dei due insediamenti monastici di Canneto vicino al Trigno e di S. Vincenzo, rispettivamente don Duilio Lemme e l’abate Pontone.

È in tale aspetto che l’archeologia sacra si distingue dal resto dell’archeologia e cioè che essa ha per oggetto siti capaci ancora, dopo più di un millennio, di ispirare la collettività e, pertanto, cose vive, non morte come le cose antiquarie. Abbiamo appena parlato del seguito di ciò che definiamo l’antichità di cui non eravamo del tutto ignari per le informazioni tratte da testi coevi, mentre per quanto antecede il Sannio, poi sottomesso dai latini non possiamo, assolutamente, servirci di fonti scritte o di epigrafi; è qualcosa che sta lì sepolto e che, a tratti, emerge all’improvviso per via di escavazioni fortuite.

Le necropoli della piana di Campochiaro, a Cantoni e a Vicenne, che contengono tombe risalenti all’VIII secolo a. C. sono emerse alla luce a causa di lavori di estrazione di inerti; non sono sepolture preistoriche, ma ci si sta semplicemente affacciando alla storia vera e propria essendo coeve alla fondazione di Roma. Ben più remoto, poiché risalente al Paleolitico, è il ritrovamento casuale nella zona La Pineta di Isernia venuto alla luce durante la costruzione della superstrada tangente al capoluogo pentro.

Del resto, questo degli scavi occasionali che alimentano il patrimonio culturale sembra essere diventato una costante oggigiorno con le tante emersioni dal profondo di vestigi del passato tanto per il passaggio di metanodotti (la villa rustica a S. Pietro Avellana o la torretta su monte S. Nicola a Pescopennataro) o per la realizzazione di tracciati viari la quale, per legge, deve essere preceduta da una ricognizione esplorativa degli archeologi (il Cavaliere di S. Biase).

Si riprende il discorso su questo strano avvicendarsi dei filoni di indagine archeologica per cui ciò che viene prima cronologicamente, cioè la preistoria è stato analizzata dagli studiosi di archeologia dopo ciò che temporalmente le succede, le società sannite e romane.

A proposito dei benedettini va detto che per la comprensione, va sottolineato, dell’essenziale ruolo svolto per lo sviluppo del territorio non più governato per decadenza dell’autorità pubblica, la loro opera è inscindibile da quanto avvenuto al tramonto del potere imperiale, scindendo piuttosto in due momenti distinti, che andrebbero trattati separatamente, l’epoca romana, la Repubblica e l’Impero: dalle ville romane del tardo Impero derivò l’economia curtense e da questa i cenobi dei frati con le relative chiese che si sovrapposero fisicamente a queste masserie come le chiamiamo oggi, e ciò lo si può constatare a S. Maria della Strada e a Canneto.

In ultimo va detto che non è vero che la storia non contempla salti, che cioè è un processo continuo, perché sui podi dei tempietti italici di Piana S. Angelo a Vastogirardi e di S. Pietro in Cantoni a Sepino sono state erette all’inizio della cristianità delle chiesette, saltando con un balzo l’epoca romana.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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