Il quartiere CEP a 50 anni dalla nascita

Forse sarebbe opportuno, essendoci una distanza temporale sufficiente che ci separa dalla sua realizzazione, avviare una analisi critica su questo insediamento, dagli obiettivi originali ai risultati raggiunti alle prospettive per il futuro.

Alla decisione di posizionare lì dove si trova il Quartiere CEP dovettero concorrere più motivazioni. Una di queste è quella che il suolo è, almeno in parte, di proprietà pubblica essendo un tratto del Braccio trasversale Matese-Cortile il quale doveva essere largo 60 metri come stabilito dalle Prammatiche tratturali.

In precedenza, del resto, ne era stato utilizzato un pezzo contiguo per costruire un agglomerato minore di case popolari tra via Monte Grappa, via Monte Sabotino, via Piave. La superficie disponibile per il CEP pure per questa presenza che lo antecede si trova ad una distanza considerevole dal centro cittadino. È una distanza oggi considerata normale per via dell’incremento delle linee di trasporto urbano; quando la circolazione degli autobus era limitata a poche corse e non era ancora esplosa la motorizzazione di massa, siamo negli anni della costruzione del CEP, la zona centrale della città appariva lontana e gli spostamenti erano ridotti.

Per fortuna che via XXIV Maggio cui si appoggia il nostro Quartiere è dritta oltre che lunga il che, cioè la rettilineità, fa sì che le cose poste ai due opposti capi poiché in relazione visiva sembrino poco distanti tra loro. A proposito dei collegamenti interurbani e sempre facendo riferimento a via XXIV Maggio è da dire che quest’ultima, costituendo il segmento urbano della statale Sannitica, è una delle principali arterie cittadine come rileva la sua stessa larghezza, la maggiore di tutta la rete viaria di Campobasso, per cui è attraversata in continuazione da mezzi automobilistici e autolinee.

Per concludere la questione della lontananza del CEP dalla città è bene specificare che se esso è, effettivamente, a diversi chilometri dal suo cuore (identificabile con le piazze Municipio e Prefettura), è solo ad alcune centinaia di metri dal convento dei Cappuccini, uno degli elementi simbolici più rappresentativi della civitas. Un’ultimissima annotazione sul tema della raggiungibilità dell’ambito centrale e che riguarda non l’epoca in cui è stato realizzato il CEP, bensì il futuro che si spera prossimo, è relativo alla realizzazione di una stazione della Metropolitana Leggera, a due passi da questo quartiere.

Riprendiamo adesso l’enumerazione dei fattori che sono, di certo, stati tenuti in considerazione nella scelta del sito per il CEP, soffermandoci ora sull’idoneità del terreno individuato per la realizzazione del complesso edilizio. Ci troviamo in un’area di dorsale il cui crinale è occupato proprio, come si conviene alla viabilità di rango superiore, perché è il sedime più stabile dalla ex Sannitica; questa dorsale che, va precisato, non è un crinale presenta su entrambi i lati che la costeggiano versanti con lieve pendenza e cioè, sia in direzione Parco dei Pini, a sinistra salendo la strada, sia a destra, dove è localizzato il CEP.

Localizzazione sa tanto di location, una parola che sintetizza efficacemente l’intento del progettista, l’ing. Enrico Mandolesi, di creare un insediamento ricco di effetti scenografici. Da questa fascia di territorio rialzata si godono ampie vedute verso la vallata del Ruviato e, proseguendo con lo sguardo, verso le colline che delimitano il bacino del Tappino. Seppure i volumi da erigere potranno occultare porzioni di tali panorami, per la disposizione planimetricamente movimentata, ci sarà (e c’è) sempre uno scorcio libero, un cannocchiale visivo che permette di vedere al di là dell’edificato.

Se sono pittoresche le visioni verso la campagna, lo sono altrettanto quelle che inquadrano l’interno di questo aggregato edilizio fatto di raggruppamenti di caseggiati a costituire isolati l’uno diverso dall’altro, con tracciati stradali di sezione differente in base al posto che occupano nella gerarchia della maglia stradale (le principali sono via A. Gramsci, via B. Croce e via L. Einaudi, le prime due sono anche le più estese).

La scena è resa maggiormente articolata dal fatto che i corpi di fabbrica sorgono a quote differenti trattandosi di un declivio. Cambiano, inoltre, innumerevoli volte, non ce n’è uno uguale all’altro, gli interspazi tra i prospetti dei fabbricati. Tale mutevolezza suggerisce piuttosto che irregolarità, movimento. In un sito piatto ciò non sarebbe stato possibile o, perlomeno, sarebbe stato molto più difficile ottenere prospettive dinamiche, non diciamo eccitanti.

Si è usato prima l’aggettivo pittoresco non a caso, in quanto si addice ad una composizione urbanistica tanto variata che attribuisce connotati popolareschi al luogo e questo richiamo al pop è presente pure nei materiali di facciata, fondamentalmente il mattone che sa tanto di rustico; in definitiva, si respira un’atmosfera neorealistica che, cioè, echeggia tale stile artistico in voga nel cinema e in letteratura, ai tempi in cui sorse il CEP.

È un insieme urbano che non ha confini molto definiti se non le case unifamiliari a 2 piani fiancheggianti su una mano via De Gasperi le quali rappresentano l’elemento di transizione tra l’agro e l’abitato il quale, così, gradatamente mostra di voler sfumare nella campagna; l’altro limite è via XXIV Maggio verso la quale il Quartiere CEP ostenta addirittura indifferenza rifiutando, si sta per dire, sdegnosamente qualsiasi rapporto offrendo ad essa i fronti corti, quelli poco rappresentativi delle stecche edilizie che le sono tangenti, tangenti appunto, e non allineate, ponendosi invece che parallele oblique a tale strada.

L’immagine del Quartiere è arricchita dalla presenza di alcune attrezzature collettive tra le quali la bellissima chiesa di S. Giuseppe Artigiano tirata su con pareti in cemento a faccia vista dentro e fuori e squarciata in copertura da un’asola vetrata dalla quale penetra in uno spazio destinato alla preghiera e, dunque, al raccoglimento un fascio luminoso che drammatizza l’ambiente. È interessante pure il Mercato Coperto, uno dei primi esempi di architettura “industriale” nel Molise.

Entrambe queste opere architettoniche rispondono ad una precisa esigenza funzionale, ma nello stesso tempo esse hanno un valore che trascende lo scopo per cui sono state costruite il quale è la formazione di una comunità spingendo le famiglie assegnatarie delle case popolari, traslocate qui provenendo da disparate località a incontrarsi e conoscersi. Va detto che, in chiusura, l’eredità più cospicua della tradizione urbanistica europea è il quartiere, di cui il CEP è un modello.

Francesco Manfredi Selvaggi572 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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