La privatizzazione delle mura urbiche

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È avvenuto così ovunque, salvo, il caso più rappresentativo, a Fornelli dove contengono il camminamento di ronda che è un passaggio pedonale pubblico. Attraverso il raffronto con le murazioni di Altilia dove la cerchia muraria è evidentemente demaniale vediamo alcune caratteristiche delle cinte medioevali molisane, soffermandoci anche sulle torri che ne sono il complemento. 

Come sono cambiati i tempi! Nell’epoca romana si includeva nelle città, vedi Altilia, all’interno delle mura anche una porzione, cha ad Altilia è un quarto della superficie inclusa nella cinta urbica, di terreno non edificato, destinata a futuri ampliamenti dell’abitato. Nel medioevo, invece, il recinto fortificato coincideva esattamente con il perimetro dell’area costruita.

La ragione di tale differenza sta nel fatto che nei borghi medioevali la difesa era affidata agli abitanti e quindi l’estensione della murazione doveva essere proporzionata al numero di persone che lì vivevano e la dovevano presidiare, mentre a Saepinum probabilmente il presidio del municipium spettava ad una guarnigione dell’esercito imperiale cui nei momenti di pericolo si aggiungevano unità in soccorso. Altilia, che ci è servita come pietra di paragone nel trattare la questione dell’ampiezza delle mura, ci è utile pure nell’esame di altri aspetti delle fortificazioni urbane, sempre come termine di confronto.

Vediamo, però, prima di guardare alle differenze, aspetti che hanno in comune la colonia di Roma e gli insediamenti sorti nell’”età di mezzo” tra i quali c’è l’assenza di fossati intorno alla cerchia muraria a rafforzare la protezione del nucleo abitativo. Qualcosa che farebbe pensare a un fossato è il canale in cui scorre il Calderari appena fuori la zona storica di Boiano, per il suo andamento curvilineo che ricorda quello delle cinture fortificate; se fosse così, se fosse cioè un fosso, un fossato esso sarebbe diverso da tutti, pochi, gli altri che stanno a salvaguardia dell’ingresso dei castelli (Campobasso, Ferrazzano, ecc.) privi di acqua perché in altura dove essi sono ubicati non vi sono fiumi da cui derivare il flusso idrico necessario per riempirlo.

In definitiva, Altilia, paradossalmente, ha in comune con il resto delle entità insediative una cosa che non c’è, quindi un legame perlomeno non troppo stretto se non inesistente e ciò ci viene confermato da quanto osserveremo di seguito. Il perimetro murario di questo sito archeologico è quadrangolare e già per tale fatto è differente da quelli dei borghi del periodo seguente la forma dei quali tende all’arco di cerchio dovendosi le mura disporre lungo una curva di livello del rilievo su cui è appollaiato l’aggregato edilizio; i municipi romani si collocano nel piano dove sono fattibili figure regolari, Altilia è a metà tra un quadrato e un rettangolo, a differenza delle entità urbane degli ambiti collinari in cui la cerchia muraria deve adattarsi all’orografia dei luoghi.

Le mura ad Altilia, poi, hanno un’altezza costante, altezza che nei paesi arroccati è variabile annullandosi addirittura in prossimità dei burroni che suppliscono alla loro assenza. Non finiscono qui le comparazioni perché c’è da fare anche quella sulla tecnica costruttiva delle mura che ad Altilia è particolarmente curata, l’opus reticulatum, e molto più semplice, ovvero il semplice accostamento di massi irregolari, nelle murazioni delle realtà insediative di origine medievale.

È davvero singolare che in un Comune che ricomprende Altilia e Terravecchia con le sue mura megalitiche di pregevole fattura non si sia fatto ricorso a qualcuno di quei metodi storici di apparecchiamento delle pietre nell’edificazione della cinta urbica; essa è abbastanza elevata come si può ben vedere da valle, nel tratto sormontato dal pittoresco “supportico” (tra le chiese di S. Maria e di S. Stefano). Forse si era persa conoscenza delle tecnologie edificatorie antiche. Eppure, ambedue queste tipologie di mura hanno dato bella prova di sé superando brillantemente la prova del tempo, due millenni per la cinta di Altilia e 500 anni in più per il pezzo di murazione adiacente alla Postierla del Matese nella Saipins dei Sanniti.

Riassumendo, i sepinesi al termine della dominazione di Roma hanno rinunziato a sfruttare il patrimonio di fortificazioni ereditato sia quello di Altilia, una località in piano, sia quello di Terravecchia, che è a monte, per installarsi ad una quota intermedia tra i due senza neanche utilizzare per la costruzione della cerchia muraria dell’insediamento da realizzarsi ex-novo il sapere edilizio dei loro predecessori; ciò appare scarsamente logico, ora però ce ne dobbiamo fare una ragione, forse è l’agricoltura.

La storia di Altilia è stata, relativamente, troppo breve, oggi qui il tempo sembra si sia fermato, cristallizzato, perché essa potesse sperimentare la fase del logoramento delle mura che ha interessato nella loro lunga vita, circa 1000 anni, gli altri centri molisani. Le murazioni erano dotate di un alone di sacralità, dando consistenza corporea al limes che per Romolo era coincidente con un solco, talmente inviolabile che il primo Re di Roma arrivò ad uccidere il fratello il quale aveva tentato di scavalcarlo.

Tale natura quasi sacra delle mura fa sì che esse fossero demaniali.  Man mano, però, vennero privatizzate con l’addossamento ad esse delle abitazioni, comprese le torri che punteggiano le mura, un elemento tipicamente militare, non appetibile a scopo abitativo. Ad Altilia la cerchia muraria con le sue 29 torri è di proprietà pubblica la quale ricomprende pure il pomerio, quella fascia che va lasciata vuota al di qua della murazione regime proprietario, che ritroviamo uguale anche a Campobasso, entità comunale che prendiamo quale campione rappresentativo della generalità delle realtà urbane del Molise non fosse altro perché ne è capoluogo.

Qui le torri urbiche sono 6, fra l’altro stanno nello stemma cittadino, si noti beni privati assunti ad emblema del Comune, è un fatto un po’ particolare:  tra queste ve n’è una che ha preso addirittura il nome del suo vecchio proprietario, l’abate Ginetti. A Campobasso ad appoggiarsi alla cerchia muraria voluta dal conte Cola nel disegno ambizioso che aveva in mente di farne la “capitale” dei possedimenti, estesi, della sua casata, per cui la murazione doveva essere imponente, vi è pure una chiesa, S. Mercurio.

È interessante questo caso in quanto un’architettura religiosa per la quale non si prevedono pareti massicce, capaci, per intenderci, di resistere all’urto di una palla di bombarda, costituisce un punto debole nella barriera difensiva, se non fosse che il nostro edificio di culto ha finestre molto strombate così da poter fungere da feritoie; è da dire che salvo S. Mercurio e S. Maria della Croce si è evitato di inglobare nel recinto fortificato le chiese per cui S. Antonio Abate e S. Paolo sono fuori.

Le mura turrite sono motivo di orgoglio per la civitas, sentimento che ormai si è perduto arrivando a Ferrazzano di recente a cancellare un pezzetto di  redondone e quindi ad annullare, parzialmente, un carattere distintivo di una sua torre; le torri rappresentano un simbolo per Campobasso, come si è detto, più ancora delle porte cui tra l’altro, sono associate e perciò occorre prestare attenzione alla loro conservazione, pur riconoscendo che è impossibile la loro rifunzionalizzazione.

Francesco Manfredi Selvaggi580 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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