Auditorium ipogeo a Isernia
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sembra ricavato nel sottosuolo della cittadina dal quale sembra ricavato il travertino utilizzato nei fronti del fabbricato. La formazione geologica sulla quale si fonda il capoluogo pentro è la stessa dei materiali di facciata di questa struttura architettonica, è fatta della stessa materia. Andare a prendere posto in platea la quale è gradonata è come scendere nelle viscere della terra (Ph. F. Morgillo-Veduta dell’Auditorium)
L’Auditorium di Isernia è un edificio imponente ed a incrementare la sua imponenza è, di certo, il fatto che i suoi fronti sono in pietra. L’uso in facciata di materiale lapideo conferisce un carattere di monumentalità alla costruzione rimandando l’impiego di pietre di grosso formato e levigate alle architetture classiche. Pur essendo il travertino una pietra non troppo costosa perché non rara esso si rivela essere per la sua superficie resa liscia e uniforme dall’operazione di levigatura cui è sottoposto una volta estratto una materia preziosa. È da dire che l’esterno dell’Auditorium non presenta altri tipi di materiale quasi fosse un monolite, un masso emerso dal sottosuolo, una sua escrescenza, il quale nel capoluogo pentro è formato proprio da un banco di travertino.
L’effetto, trattandosi di un blocco di roccia, dovrebbe essere quello di pesantezza e, invece, è di leggerezza, la sua gravità è smentita dal fatto che sfida la legge di gravità piegandosi la parte superiore del prospetto, inclinandosi in avanti, protendendosi verso il vuoto; viene da chiedersi perché non cade giù. Lo si è già affermato ma lo si ripete, per rimarcare il concetto appare quale solido litoide venuto fuori dal terreno poiché è di travertino tanto il substrato su cui poggia quanto il corpo di fabbrica. La sala dell’Auditorium sembra penetrare, in quanto è una cavea, nelle viscere della terra, appare essere un ambiente sotterraneo almeno entrandovi, è l’accesso per il pubblico, dal livello dell’asse viario su cui prospetta il lato di ingresso.
La forma dell’entrata, una sorta di asola ritagliata nella porzione inferiore della cortina edilizia in contropendenza, non lo si era specificato prima, rispetto a quella sovrastante, conferma l’impressione di trovarsi al cospetto di un grande sasso poliedrico ricordando l’apertura pur con linee regolari e non irregolari come succede in natura, di una caverna. Manca ogni altra bucatura ovverosia non vi sono finestre e pure ciò è sorprendente, almeno da noi non vi sono ulteriori manufatti architettonici ad uso civile privi di finestrature. L’elevazione consistente del prospetto su strada, la quale peraltro sarebbe maggiore se esso non fosse, si è cercato di spiegarlo in precedenza, incurvato su sé stesso, cioè se si tirasse in piedi e non rimanesse accovacciato, piegato in due, è comparabile con quella del campobassano teatro Savoia dovuta, quest’ultima, al modello teatrale seguito, quello del “teatro all’italiana” che prevede una serie di palchetti l’uno sull’altro a semicircondare il palcoscenico, 3 livelli di palchi più la “piccionaia” posta sulla sommità.
A Isernia le cose sono differenti, ma mica tanto poiché la platea che è gradonata, non in piano, occupa spazio in altezza, il problema è che essa dalla quota della strada scende e non sale, non emerge, alla vista si inabissa così per dire. Passiamo ad altro: il trattamento raffinato, la levigatura, della “pelle” dell’organismo costruttivo trova giustificazione nell’esigenza che non vi sia un muro cieco (si rammenta che mancano aperture finestrate) lungo una delle principali arterie della città, privo di espressività, cosa davvero sgradevole come si può constatare a Campobasso dove una dei lati dell’ex cinema Ariston confina con via Cardarelli con un setto murario privo di qualità estetica se non fosse per quelle lesene che ne ritmano la superficie, altrimenti sarebbe una mera muraglia compatta.
Cambiamo ancora argomento: sarebbe stato bello pensare che lo spettatore scendendo i gradini per raggiungere il proprio posto a sedere potesse provare l’esperienza di inoltrarsi all’interno del suolo, alla stregua di un cammino iniziatico ipogeo. Tale effetto lo si sarebbe potuto ottenere se all’intradosso della parete che delimita la sala si fosse lasciato a vista oppure se si fosse applicato quale rivestimento della stessa delle lastre di travertino per richiamare la struttura geologica di Isernia, una sorta di percorso nelle profondità della crosta terrestre, lì dove risiedono le divinità ctonie.
Questa nostra idea si scontra però con la necessità di assicurare la perfetta acustica della sala, esigenza che impone l’addossamento alla muratura di pannelli fonoassorbenti. L’insonorizzazione è indispensabile per la funzionalità della sala, l’unica che abbia la destinazione d’uso di auditorium nel Molise, il solo ambiente al chiuso realizzato appositamente per l’esecuzione di concerti. Per prevenire il disturbo provocato da rumori esterni, stiamo sempre parlando degli aspetti acustici, è bene che la sala stia interrata affinché il suono della musica non rischi di essere sopraffatto dal frastuono tipico di un agglomerato urbano moderno dovuto essenzialmente al traffico.
Stare al di sotto del piano di campagna ha, peraltro, un vantaggio aggiuntivo a quello di una buona percezione uditiva ed è l’isolamento termico del vano. Nelle architetture ipogee si ha una temperatura costante, nel terreno non si disperde il calore. L’Auditorium finora lo abbiamo esaminato quale oggetto a sé stante, alla stregua di un manufatto isolato, non inserito in un insieme urbanistico. Non è così, questa realizzazione architettonica è posta in un quartiere abitativo con una certa densità immobiliare del quale viene a costituire un elemento centrale, e non unicamente per la sua massa, capace di conferire ad esso una specifica identità.
Forse sarebbe opportuno per sancirne il ruolo di perno del contesto insediativo in cui ricade trasformare in piazza l’area antistante l’entrata che ora è un semplice crocevia. Le fattezze dell’Auditorium, così diverse, non solamente per dimensioni, da quelle dell’edificato circostante, lo rendono un punto di riferimento visivo per un ampio intorno. Le sue sembianze accattivanti ne fanno poi un potenziale attrattore turistico e, in qualche modo, aggiornano l’immagine di Isernia conferendole un tocco di contemporaneità. L’edificazione di questo fabbricato rappresenta l’apertura di un nuovo capitolo dell’eredità architettonica oltre che isernina molisana mettendo al passo la regione con le evoluzioni in corso nell’arte e nella tecnica del costruire.
Francesco Manfredi Selvaggi643 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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