Addio, Stephen Hawking

di Sandro Iannaccone

L’astrofisico britannico, uno degli scienziati più famosi al mondo, è morto questa mattina nella sua casa di Cambridge. Aveva 76 anni e soffriva di malattia del motoneurone dal 1963

Stephen Hawking, icona universale della scienza moderna, è morto questa mattina, nella sua casa di Cambridge. Nello stesso giorno in cui, 139 anni fa, nasceva Albert Einstein. A dare l’annuncio i suoi tre figli Lucy, Robert e Tim, con un comunicato ufficiale: “Siamo profondamente addolorati nel comunicare che il nostro adorato padre è scomparso oggi. È stato un grande scienziato e un uomo straordinario, il cui lavoro e la cui eredità vivranno ancora per molti anni. Il suo coraggio, la sua perseveranza, la sua brillantezza e il suo umorismo hanno ispirato milioni di persone in tutto il mondo. Una volta disse: ‘L’Universo non sarebbe un granché, se non fosse la casa delle persone che si amano’. Ci mancherà per sempre”. Risale ad appena pochi giorni fa la sua ultima apparizione televisiva, un’intervista in cui discuteva con l’amico e collega Neil deGasse Tyson il proprio punto di vista sui concetti di tempo e spazio prima del Big Bang.

Stephen Hawking nacque a Oxford l’8 gennaio del 1942. A 17 anni si iscrisse alla University College della città, laureandosi in fisica cum laude in appena tre anni – più tardi avrebbe spiegato di aver trovato i lavori accademici “ridicolmente facili” e di aver studiato non più di mille ore – con una tesi sull’origine dell’Universo e del Big Bang. Nel 1963 si spostò a Cambridge, dove venne nominato professore di matematica in quella che era stata, 300 anni prima, la cattedra di Isaac Newton. Nello stesso periodo cominciò ad accusare serie difficoltà nell’uso degli arti: in seguito a diversi accertamenti medici, gli venne diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, una grave malattia neurodegenerativa che non gli avrebbe lasciato più di due anni di vita. In realtà, la prognosi si sarebbe rivelata inesatta: si trattava, con più probabilità, di una forma di sclerosi a lenta progressione, che lo avrebbe costretto all’immobilità, vincolandolo a spostarsi con una sedia a rotelle e usare un sintetizzatore vocale per comunicare.

La malattia, comunque, non gli impedì di continuare a lavorare. E di dare contributi unici e preziosissimi alla fisica teorica, specialmente nei campi dello studio dei buchi neri, della cosmologia quantistica e dell’origine dell’Universo. In particolare, gli studi di Hawking hanno confermato l’esistenza delle cosiddette singolarità gravitazionali, regioni in cui la materia ha una densità infinita e in cui i concetti di spazio e tempo sono privi di significato (disclaimer: singolarità è la parola elegante usata dai fisici quando una o più entità divergono all’infinito), teorizzate per la prima volta da Albert Einstein. Inoltre, Hawking teorizzò, assieme al collega Roger Penrose, che una di queste singolarità coincide con il Big Bang, il momento in cui – come ha ribadito pochi giorni fa – cominciano ad avere senso i concetti di spazio e di tempo. E ancora: lo scienziato elaborò per primo le leggi della termodinamica dei buchi neri, dimostrando che questi oggetti, a dispetto del nome, erano in grado di irradiare particelle subatomiche. La cosiddetta radiazione di Hawking, per l’appunto.

Accanto al successo come scienziato, impossibile non ricordare anche quello come divulgatore. Magnificato dalla pubblicazione, nel 1988, del saggio A Brief History of Time, un testo in cui Hawking rese accessibile al grande pubblico i concetti della cosmologia moderna. E ulteriormente amplificato, in anni più recenti, dal film La teoria del tutto, che ha magistralmente raccontato vittorie, drammi, sfide e difficoltà combattute e vinte dall’astrofisico britannico.

Fonte: Galileo

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