“Io se fossi Dio” – da Giorgio Gaber a nuove ipotesi divine

Riceviamo e pubblichiamo da William Mussini 

di William Mussini

Il 1980 verrà ricordato come uno degli anni peggiori dell’Italia repubblicana. I governi a guida democristiana, il terrorismo di destra e di sinistra, il terribile terremoto in Irpinia, una decadenza economica e morale irreversibile, il sistema delle tangenti elevato ad arte. Il brano coraggioso, dissacrante, controverso Io se fossi Dio nasce da una lunga conversazione telefonica tra Giorgio Gaber e Sandro Luporini.

Quest’ultimo racconta nel suo testo G. Vi racconto Gaber: “Il testo di quella canzone (…) mi venne fuori in poco più di un’ora. Buttai giù quindici paginette fitte fitte, scritte a mano di getto, quasi senza correzione. Me la prendevo con tutti, dai borghesi ai giornalisti, dai politici ai brigatisti. (…). C’erano versi lunghi, altri brevissimi e praticamente senza struttura: una specie di scempio della metrica che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in musica“.

“Io se fossi Dio poteva uscire solo nel corso dell’annus horribilis. A novembre del 1981, per la precisione. Un novembre facile da immaginare cupo, freddo, tetro, uggioso, cattivo”. Se provassimo a reinventarci divinità critiche come raccontavano Gaber e Luporini, in iperbolica continuità, potremmo sondare le motivazioni vanitose di un atto creativo nell’epoca delle emergenze infinite. Per cominciare: nel trasformare il nostro pensiero in qualcosa di simile ad un ruscello d’acqua, arriveremo tutti, prima o poi alla medesima conclusione, il mare. Utopia che non costruisce argini, incertezza che non logora ciottoli, ignoranza che cementa barriere e dighe, queste ed altre vanità sono le nemiche acerrime della comunione delle idee.

Gli uomini moderni sono divenuti animali sociali per necessità, ma la loro natura arcaica non vive in simbiosi con l’energia che crea associazioni, collettività, popoli. Il nostro modo di comunicare si basa costantemente sul confronto, questo perché siamo alla continua ricerca di noi stessi, affondiamo le nostre escrescenze intellettive nelle carni del nostro prossimo, speranzosi di trovare un punto fermo, una luce che rischiari le ombre che ci abitano dentro. Non ci troveremo mai,  fin quando continueremo ad ignorare l’aseità che ci contraddistingue, se ci lasceremo toccare e violare dalla nostra ed altrui inquietudine, non capiremo mai che l’universo della nostra essenza è onnicomprensivo, è il tutto ed il niente allo stesso tempo, è un’espressione indecifrabile dell’infinito.

I rivoli, i torrenti, i fiumi, le acque che scorrono verso il mare sono i pensieri, le emozioni, gli afflati esistenziali che negli uomini moderni viaggiano seguendo il flusso di coscienza collettivo. Le nostre domande rimangono perlopiù inevase quando sfociano in un mare apparentemente scontato dove le idee si mescolano, si confondono, cambiano e si dimenticano. Un pensiero evapora dal cosmo, sale sino alle vette della ragione e discende a gocce alimentando la sua origine, la nostra ciclica coscienza. Quanto tempo ancora occorrerà all’uomo per arrivare a capire che l’intelligenza della coscienza è l’unica ed infinita contraddizione che rende mortali?  Gli Dei posseggono soltanto coscienza, non avvertono il bisogno di domandarsi il perché delle cose, essi sono eterni ed onniscienti per questo. Da creativo e teorico dell’intemediarismo ho accettato l’assurdo paradosso di credere e non credere, ho vissuto idealmente sotto una nevicata di lapilli, ho bevuto le acque di un vulcano quando nel cielo volavano i pesci e nelle foreste, gigantesche piante divoravano creature dal cuore pulsante.

Ho creato con la fantasia di bambino un universo senza intelligenza, nel quale l’entropia è l’unica forma di coscienza. Mi sono sentito come un Dio gaberiano quando, dall’alto d’una profonda fossa psichica, ho osservato il mio personalissimo creato; l’eternità si adagia fra le mie mani, non v’è altro che la mia contraddizione.

Dopo mille o forse miliardi di attimi, delle voci bisbiglianti si affacciano alle mie orecchie, una nuvolaglia di esseri corrucciati si scaglia adagio contro la mia essenza creatrice. Nasce pian piano qualcosa nelle loro teste, la chiamano intelligenza. Non riesco ad ascoltarli, non capisco il loro tormento, la loro ribellione, non posso renderli quieti; per porre un margine alla loro voglia di verità ho inventato il peccato e la fede.

Nel mio ruolo di creatore ipotetico, osservo le mie creature vivere e morire, le sento urlare il bisogno disperato di raggiungere un perché, avverto le loro unghie perforare il mio spirito e continuo ad ammonirle, a perdonarle, senza riuscire mai a capirle. Oberato dal peso delle accuse, abbandonato al ruolo della mia divina diversità, decido il mio fallimento e con un gesto purificatore uccido, annullo l’intelligenza di quegli animali informi e riconduco tutti i significati, gli arcani e il paradosso all’univoca origine, la mia sola coscienza.

È proprio adesso, quando realizzo il fallimento di una creazione autoreferenziale che mi appare tutto più chiaro; comprendo che io, come il Dio di Gaber e Luporini, non sono mai esistito, soltanto le mie creature sono reali, i loro perché, le loro domande, il dolore e la loro paura di morire.

L’universo non è ciò che vediamo, ciò che mangiamo, ciò che tocchiamo, ciò che adoriamo; l’universo è tutto quello che non conosciamo, forse un software super sofisticato nel quale noi che ci nascondiamo nel cranio e nelle costole, come inutili eroi accecati dalla vedetta, travisiamo tutto e tutti, nel bene e nel male, rinnoviamo stancamente la nostra imperfezione.

“Io se fossi Dio, la Terra la vedrei piuttosto da lontano e forse non ce la farei ad accalorarmi in questo scontro quotidiano. Io se fossi Dio non mi interesserei di odio e di vendetta e neanche di perdono, perché la lontananza è l’unica vendetta, è l’unico perdono. E allora va a finire che se fossi Dio io mi ritirerei in campagna come ho fatto io”. Gaber – Luporini

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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