Reminiscenze di vite passate: l’universo ciclico

di William Mussini

Sognai, incredulo ed affascinato dalla compattezza razionale ed allo stesso tempo visionaria di una teoria universale che balenò nella mia testa, in uno di quei pomeriggi estivi, vissuti nell’ozio e nell’irriverenza, adagiato su di un lercio divano, compiaciuto dall’appellativo di bohemien.

Fu come una rivelazione; mi fu chiaro il perché ed il come della genesi dell’intero universo, della vita, delle forme, dell’infinito. L’universo apparve strutturato come una mela, nel suo insieme infinito, non v’era spazio per concepire un vuoto parallelo, l’intera sua storia, dalla origine situata al centro della sfera sino alla seconda origine, compresa lungo la linea equatoriale, era già di per se infinita. In realtà non v’era punto iniziale, un principio assoluto dal quale scaturiva l’enormità infinita della mela; ciò che governava il movimento delle materie e delle energie era un concetto ciclico anch’esso senza tempo, dunque infinito, dunque senza genesi.

Il nostro universo attuale, quello che viviamo presumibilmente in questi istanti, ha come prima pseudo-origine il centro della mela, esso è in continua espansione e muove la sostanza che lo contiene verso il polo dell’emisfero superiore. Durante il viaggio, esso disegna una curvatura comprendente l’intera “superficie” dell’emisfero, la spinta iniziale scema sino a rallentare la corsa, l’universo, che in questo caso tende al disordine ed alla complementarità degli equilibri positivi, invecchia lentamente sino a ritornare alla seconda pseudo-origine.

Mi fu così chiaro il perché del nostro concepire il tempo, della nostra coscienza condizionata dall’andamento universale. Mi fu chiaro perché era possibile che un bicchiere di cristallo cadendo a terra si frammentasse in mille pezzi in modo caotico, mi fu altrettanto chiaro perché non era possibile che succedesse l’esatto contrario.  Se il nostro universo tende al disordine anche i moti della materia che esso contiene tendono al disordine ed al caos. Ed anche il tempo, di conseguenza, è concepito dalla nostra coscienza relativamente all’andamento globale dell’universo caotico.

Quando la curvatura raggiunge l’intera estensione della linea equatoriale, il cosmo si ferma, il tempo si annulla, ogni energia satura l’infinito, la materia e quant’altro essa contiene è avvolta e condizionata dalla totale entropia, cosicché tutto si trasforma pur conservando la medesima sostanza. L’universo che sino ad allora tendeva al disordine, oltrepassato l’attimo della sua seconda pseudo-origine, ritorna verso l’emisfero nord, percorrendo l’intera semisfera australe, dall’equatore al polo sino al centro della mela. La curvatura è dunque opposta a quella precedente; energia, materia, tempo e coscienza sono, in questo anti-universo, tendenti univocamente all’ordine?

Probabilmente in una situazione universale tale, i frammenti di cristallo, sparsi in modo caotico al suolo, si ricongiungerebbero nella forma del bicchiere. Per la nostra attuale coscienza tutto ciò è assurdo quanto impossibile; è per questo plausibile ipotizzare forme di vita, di materia e di energia decisamente “diverse” da quelle conosciute o teorizzate nel nostro attuale universo. Il sogno rivelatore si concluse: l’immagine della mela, degli universi ciclici rimase, rimase, rimase ancora per molto tempo stampata sulle pareti della soffitta. Ad occhi ben aperti continuai a narrare la vicenda, teorizzando ancora che l’anti-universo, una volta raggiunta la sua prima pseudo-origine, al centro della mela, si ricostituirà in un piccolissimo nucleo comprendente l’infinito ordine, esso collasserà per l’ennesima volta rigenerando l’universo caotico e così tutto ciò che di assurdo ed assoluto esso comprende.

Sarei dovuto essere l’uomo in grado di screditare una volta per tutte l’ipotesi d’una genesi Divina, ma non bastò un sogno, non fui capace di porre limiti all’immaginazione, amai le mie teorie e le difesi sino alla morte, ma non oltrepassai i cancelli della mia consapevole piccolezza; conscio dell’immenso arcano che sovrastava il mio denso cervello, scelsi il risveglio delle convinzioni, scelsi la relatività come unica confidente.

Rinsavii quasi del tutto durante il venticinquesimo compleanno, quando rimuginai fino alla noia tutte le precedenti teorie oniriche. Certo, la convinzione è un atto mentale di lodevole natura ma essa è in molti casi preludio all’ignoranza. Ammetto che fui più volte tentato dal mio ingegno a riempire le pagine del libro bianco del destino e della verità universale, quello di “Micromedia” per intenderci, ma in alcuni momenti non avevo penna o matita, in altri avevo stilo senza inchiostro, in altri ancora mancava la luce o  mi tremolavano gli arti. Quel libro è rimasto immacolato, così come fu deposto all’Accademia delle Scienze di Parigi.

Quanto alla teoria dell’universo ciclico, avrei tanto desiderato non averla mai immaginata per il motivo semplicissimo che da buon seguace di Locke sapevo bene che la probabile verità si cela fra le cose possibili e tutt’ora impensabili. Mi sforzai le meningi rischiando un’auto-lobectomia, rasentai la totale incoscienza quando decisi di razionalizzare finanche la concezione di spirito, sprofondai in un delirio metafisico contraddicendo la momentanea vocazione al pragmatico ed agli assiomi iper-razionali.

“L’ultimo processo della ragione – come disse Pascal – è di riconoscere che esistono un’infinità di cose che la superano”.

Riconquistai pian piano la peculiare vena umoristica e dissacrante, per un lungo periodo mi feci chiamare con il nome di Delfo poiché mi sentivo in grado di insegnare la riflessione e il buon senso, parlando come l’oracolo, manifestando un’allegoria sprezzante d’ogni interpretazione. L’intelligenza che abitava il mio cervello lamentava la situazione indecorosa in cui s’era ritrovata; la scatola cranica ormai ben piccina rispetto alle tracotante arguzie si sfasciò una domenica d’aprile sotto la pressione insopportabile che proveniva dall’interno: fu come il “BAM!” dei palloncini gonfiati d’elio, quello che rimase dopo l’inaspettato scoppio fu soltanto il vuoto, niente di eccelso, niente di sublime o sopraffino. Imparai da quell’esperienza che il confine esistente fra saggezza e presunzione intellettuale è assai labile e che niente al mondo è più distruttivo della presunzione nella mente d’un sapiente.

Ritornai ad essere folle, imparai di nuovo a dissacrare per principio l’essere che più di tutti m’era vicino, me stesso. Di contraddizioni e mancate convinzioni ne sono seguite a migliaia, la decisione di adottare una ricerca empirica della verità è dovuta quindi all’ovvio conflitto psichico, motore instancabile di energie votate all’apprendimento.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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