I vandali dell’immateriale

di Letizia Bindi

Quando ho letto la notizia battuta da alcuni siti giornalistici online confesso che ho pensato che fosse una bufala e ho fatto un breve giro di verifica con gli amici e i conoscenti dei vari giornali molisani per accertarmi che fosse vero. Non riuscivo a credere che la comunicazione politica, la propaganda avesse potuto spingersi così in basso e utilizzare in modo così gretto, senza interpellare alcuno, l’immagine di un cerimoniale urbano di grande valore e profondità storica come quello dei Misteri del Corpus Domini di Campobasso per associarlo a una vicenda equivoca, torbida e ancora tutta da chiarire e decifrare, ma comunque terribile come quella degli abusi di ufficio nella tutela verso i minori in Emilia che nasconderebbero pericolosi traffici illeciti di bambini, plagi e violenze.

É evidente che l’associazione implicitamente avanzata dal gretto manifesto denuncia la totale incompetenza, disinformazione e crassa ignoranza dei rappresentanti di Forza Nuova di Bologna rispetto alla nobile, antica e densissima celebrazione dei Misteri del Corpus Domini campobassano. In particolare il gesto che essi hanno scelto per associarlo alla denuncia, peraltro portata avanti con modi e termini banalizzanti dell’abuso verso i minori, è del tutto stravolto nell’impiego che ne hanno fatto.

La cosiddetta ‘carezza del diavolo’ nel rituale campobassano ha, infatti, da sempre un valore irrisorio, sarcastico, serve a sporcare autorità e potenti o a prendersi gioco di coloro verso cui si nutre qualche piccola ragione di inimicizia, ma più spesso a sancire chi ha e riveste un qualche ruolo nello spazio scenico in cui la performance rituale si svolge. In altri momenti, però, quella stessa carezza è rivolta in senso protettivo verso figure che liberamente si offrono quasi ad esorcizzarla – le spose, ad esempio, o le giovani donne – e ancora verso i bambini, che vengono avvicinati ai diavoli dagli stessi genitori. Nel linguaggio simbolico del cerimoniale, infatti, la carezza del diavolo prende una valenza protettiva, apotropaica, salvifica, perché delimitata nello spazio sacro della festa stessa e perciò invertita nel suo valore, da minaccia in segno di attenzione e di cura massima, specie verso i bambini, che in questa festa, non dimentichiamolo, sono insieme ai diavoli, i protagonisti assoluti, in vesti prodigiose di angeli.

Credo che la cittadinanza di Campobasso, il Sindaco Gravina che la rappresenta debbano chiedere scuse ufficiali o avanzare esplicite rimostranze verso questa lesione intollerabile all’immagine del patrimonio immateriale più rilevante della comunità cittadina campobassana. Credo che l’Associazione ‘Misteri e Tradizioni’ debba valutare se vi siano gli estremi per una denuncia o comunque chiedere con forza che i rappresentanti di Forza Nuova facciano ammenda di questo imperdonabile e sconsiderato gesto.

Questa vicenda mostra come i patrimoni culturali siano preziosi e fragili al tempo stesso, come essi possano essere violati, smembrati, snaturati, decontestualizzati se non si provvede per essi a una adeguata salvaguardia e a rafforzare e rassicurare nelle loro ragioni, convinzioni e prese di coscienza le comunità di pratica che con determinazione, coerenza, fatica e amore per il proprio patrimonio condiviso si adoperano per rinnovare sempre la magia di queste forme di espressione collettiva.

C’è bisogno di ‘appuntire’ gli strumenti di tutela, i vincoli, di dare forza e consistenza alla ricerca, alla documentazione, alla costruzione di spazi e archivi della memoria, perché le feste salvaguardino il lavorio che esse hanno garantito di costruzione e rammemorazione costante del senso di comunità. Ormai 14 anni fa venne licenziata dal Consiglio d’Europa a Faro, in Portogallo, una Convenzione che, forse non caso, questo nostro Paese, così ricco di patrimoni culturali immateriali non ha ancora ratificato. É la Convenzione sul valore dei patrimoni culturali per le comunità. Sancisce che i patrimoni non sono orpelli, dettagli, oggetti banali pronti per essere smembrati, disfatti, tagliati e riutilizzati a piacimento di chiunque e in un modo che sfregia il senso stesso per il quale in origine sono stati concepiti. Questa Convenzione impegna le comunità di custodi del patrimonio, le comunità di eredità appunto, a lavorare insieme con esperti, i policy-makers, i giuristi alla salvaguardia e valorizzazione di ciò che hanno custodito e continuano a praticare e celebrare, perché esso ha non solo una funzione promozionale, ma in primo luogo un valore intrinseco per le comunità stesse, per la loro tenuta sociale e relazionale.

Abbiamo bisogno di rafforzare questo tipo di strumenti sovranazionali, i vincoli ministeriali, le normative regionali, perché si abbia cura e attenzione verso questo tesoro potente e fragile che le comunità hanno custodito e con generosità trasmettono. A margine di questa specifica e incresciosa vicenda, invece, viene da pensare come vi sia purtroppo una spaventosa e preoccupante coerenza tra una linea politica che pensa a una riforma dei Beni Culturali che depotenzia tra le altre cose l’ambito demo-etno-antropologico, così cruciale per il nostro Paese, e la sfrontatezza gretta e volgare di chi getta fango sulla bellezza come unico modo di farsi spazio nella sfera pubblica.

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