Sardine, non disprezzate il rancore. Ascoltatelo

di Francesco De Lellis

C’è grande entusiasmo in giro. Se apriamo i social vediamo ormai da settimane solo piazze stracolme di Sardine. Sembra il risveglio di un popolo, e lo è. Le persone hanno finalmente trovato una nuova cornice, un canale per esprimere un malessere forte verso la politica dell’odio, che evidentemente altri non riescono minimamente a interpretare e a intercettare.

Perché parlare ancora di Sardine? Perché, a parte il Fridays for Future e l’insorgenza femminista, nessun altro movimento in questo periodo è stato capace di riempire così le piazze. Non lo è stato il movimento antirazzista, che a un anno dalla grande marcia degli Indivisibili del 10 novembre 2018, non è riuscito a catalizzare quelle energie per una manifestazione che chiedeva l’abrogazione delle leggi sicurezza. Quindi ben vengano le Sardine, che questo tema lo pongono e in piazze molto più numerose di quelle del frammentato e disorientato arcipelago antirazzista.

Ma dobbiamo tenere a mente alcune cose, per non farci trascinare troppo da questo entusiasmo.

  1. Attenzione a non fare errori di percezione. È la nostra bolla Facebook che ci fa vedere ovunque gente che canta Bella Ciao. La cosa un po’ mi spaventa. È pericoloso sentirsi belli e felici e pensare che l’obiettivo sia quello. Cantare Bella Ciao tutti insieme e manifestare in massa serve più a noi, a rincuorarci, a rinsaldare una comunità di legami e di senso. Cambia al massimo di qualche punto la classifica dei trending topic sui social. Ma le Sardine non sposteranno di una virgola il consenso alle destre. Di questo bisogna essere consapevoli. Oppure quando arriveranno le batoste clamorose alle elezioni in Emilia Romagna e Toscana (perché arriveranno, lo sappiamo), e poi la destra stravincerà a livello nazionale (perché vincerà, lo sappiamo) rimarranno tutti paralizzati. Pensavamo di aver fatto tanto e ci ritroveremo schiacciati dalla maggioranza silenziosa che non scende in piazza né contro Salvini né con Salvini, ma vota. E poi? Che faranno le sardine?
  2. Prima di tutto bisogna capire: cosa vogliono le sardine? Nella migliore delle ipotesi il loro obiettivo attuale sembra essere quello di voler fare pressione sui partiti, come movimento di opinione e culturale. Nella peggiore delle ipotesi alcuni dei suoi leader auto-proclamati vogliono portare consenso a un certo schieramento o addirittura aspirano a farne parte occupando un vuoto a sinistra pesante come un buco nero.
  3. Ma c’è un problema nella retorica sardiniana che rischia di impedire un’azione più efficace. Che vuol dire contrastare l’odio? Il problema non è il linguaggio di Salvini o Meloni. Loro amplificano e riproducono una narrazione che si è fatta senso comune. Se pensiamo che il problema sia soltanto il bombardamento mediatico, e l’ignoranza della gente che abbocca a quel messaggio, siamo fuori strada. Bisogna andare alle radici di quel rancore, un rancore che non può essere letto senza considerare il contesto di crisi economica e miseria. La gente non è esasperata e rabbiosa perché glielo dice Salvini. Quel rancore viene spesso da dieci anni di crisi, austerità e immiserimento. La destra gli offre solo una spiegazione, semplice, di chi sono i colpevoli. E quindi un bersaglio. Ma qui voglio fare una provocazione. La radice di quel rancore invece è giusta, è sacrosanta, perché nasce dall’ingiustizia e dalle condizioni materiali di una vita sempre meno dignitosa e sempre più privata di prospettive per il futuro. È giusta anche quando se la prende con “l’accoglienza”, perché come spiega perfettamente Andrea Segre nella sua lettera alle Sardine, il dibattito “accoglienza sì/accoglienza no” ci ha sviato dalle questioni centrali dell’immigrazione, facendo anche un favore enorme alle destre che hanno potuto cavalcare tutte le storture e perversioni di un sistema di “accoglienza” pensato non per affrontare la questione migratoria ma per farne una bomba sociale. Dunque quel rancore è vero, non è artificiale, non si può negare o disprezzare, etichettare semplicemente come ignoranza e barbarie, è frutto di ingiustizia e diseguaglianze. Ma è diretto nella direzione sbagliata, verso il basso anziché verso l’alto, verso i più poveri invece che verso chi ci ha imposto politiche che servono solo a perpetuare questo sistema economico e sociale. Davvero pensiamo che “abbassare i toni”, come dicono le sardine, servirà a contrastare questo progetto di macelleria sociale? Non è che forse i toni li abbiamo tenuti bassi già per troppo tempo?
  4. Lasciamo stare per un po’ Salvini, Meloni, la “Bestia” e il loro linguaggio, perché tanto le forze che gli si oppongono avranno forse un linguaggio più pulito e corretto ma fanno le stesse identiche politiche. D’altronde, lo slogan preferito di Minniti (PD) è “Sicurezza è libertà” (reminiscenze orwelliane). Lui a quella che definisce “fabbrica della paura” ha pensato bene di rispondere non smontando quelle paure ma esasperando un’idea di sicurezza fatta di muri, criminalizzazione delle devianze, esclusione dei marginali. Eppure Minniti parla in modo pacato, non fa dirette Facebook, non insulta e non beve Mojito nelle discoteche in spiaggia.

E se le Sardine invece di avere come obiettivo i politici, il linguaggio dei leader dell’odio, le rappresentazioni mediatiche e l’uso dei social mirassero invece alla gente comune, alla realtà materiale? A chi spesso viene definito semplicisticamente ignorante e becero? A un italiano sfruttato o senza lavoro che vive per strada che vi chiedesse perché ci sono immigrati che hanno un tetto pagato con soldi pubblici e lui no, voi cosa gli rispondereste? Di abbassare i toni? Ecco, partiamo da questa domanda.

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