L’epidemia come crisi ambientale

Dando seguito al dibattito che vogliamo stimolare su “Il Molise dopo il coronavirus” che conta gli interventi di Monsignor Bregantini, di Antonio Ruggieri e di Gino Massullo, pubblichiamo l’intervento di Rossano Pazzagli, docente dell’Università del Molise

A volte penso che sarebbe meglio mettere in quarantena anche le parole. Ritengo infatti che si parli già troppo del coronavirus e che accanto all’epidemia virale ce ne sia ormai un’altra mediatica che rende la prima più virulenta, più temibile, più presente m anche più nascosta nelle sue cause.

L’epidemia passerà, una volta che conosceremo meglio il virus e avremo imparato a conviverci. E’ successo tante volte nella storia, non solo nella lontana età medievale della peste, quando – non sapendo come fare – l’unico modo per affrontarla era cercare di chiudere tutto e pregare, ma anche in quella moderna e nell’età contemporanea. Malattie epidemiche e endemiche hanno contrassegnato, a ondate, il complesso rapporto tra uomo e ambiente, sempre oscillante tra la volontà umana di dominare la natura e le rivincite di questa. L’epidemia è uno dei momenti più critici di questo rapporto perché ogni volta ci costringe a fare i conti contro un nemico nuovo e invisibile, a intraprendere una lotta alla cieca accompagnata quasi sempre da paura e irrazionalità.

Cosa possiamo fare? dobbiamo allo stesso tempo fronteggiare il presente e pensare al futuro, a un dopo che dovrà essere migliore dell’oggi. E dobbiamo riflettere anche sul passato, perché è da lì che vengono i nostri problemi. Anche se irrazionalmente ci rintaniamo nelle nostre case, dobbiamo cercare di capire perché la natura ogni tanto si prende le sue rivincite, lanciandoci messaggi talvolta drammatici; dobbiamo capire le contraddizioni profonde del nostro mondo, di un sistema economico generatore di mostri che poi non è in grado di fronteggiare, che ha la grave colpa di sentirsi potente e invincibile. Invece il sistema è vulnerabile, potente e fragile al tempo stesso, come tutte le costruzioni umane. E’ vulnerabile e ingiusto, come impietosamente ci sta mostrando questo Covid-19.

Se ci dimentichiamo la natura, se la oltraggiamo senza curarcene, poi essa ritorna prepotentemente nelle nostre vite. Il modello capitalista della crescita continua, specialmente nella sua versione neoliberista, ha generato la questione ambientale. In questi casi ce ne rendiamo conto, ma abbiamo difficoltà ad ammetterlo, per cui l’atteggiamento prevalente diventa quello di “adda passà ‘a nuttata” affinché tutto torni come prima, che il fiume del domino sulla natura riprenda il suo corso. Eppure dovremmo renderci conto come, anche in Italia, il morbo stia colpendo prima e più ferocemente le regioni più sviluppate, più inquinate, più densamente abitate, più aderenti al modello del consumismo e della omologazione commerciale. I virus li genera la natura (sebbene abbiamo sentito che si possono produrre anche in laboratorio), ma si scatenano laddove l’uomo ha esagerato. Non vogliamo vedere la realtà, quindi si reagisce sparando nel mucchio, andando alla cieca appunto.

Sempre, nella storia, epidemia ha fatto rima con isteria. Non abbiamo imparato molto. Alla fine, sono stati sempre i più deboli e i più poveri a pagare il prezzo più alto, anche se qualche volta le pestilenze hanno spazzato via i soprusi e le contraddizione del sistema, richiamando la metafora della scopa di Don Abbondio nella peste manzoniana.

Oggi siamo in una situazione di emergenza, e dobbiamo giustamente occuparcene. Ma dal punto di vista dell’approccio umano e filosofico il modo migliore per stare nell’emergenza sarebbe quello di comportarci normalmente; con le opportune precauzioni, ma normalmente. E’ un’illusione quella di chiudere tutto. Le chiusure hanno funzionato poco nel passato, figuriamoci oggi, in un mondo così globale e interconnesso. In ogni caso non possono durare a lungo. Dobbiamo essere consapevoli che isolarci significa morire, non guarire. Questo vale per gli individui e per i popoli. E anche per la natura.

Non dimentichiamoci che, nel bene e nel male, i microorganismi hanno un ruolo rilevante nella storia del mondo. Virus e batteri svolgono un ruolo essenziale nei cicli biologici; nella maggioranza dei casi sono innocui ed essenziali per la vita degli ecosistemi. Alcuni di essi sono patogeni, con gravi effetti negativi sulla salute umana, come in questo caso.

Il crescente impatto umano sulla natura, dall’inquinamento ai cambiamenti climatici, indebolendo gli ecosistemi naturali facilita la diffusione dei patogeni secondo modalità che purtroppo non sempre siamo in grado di conoscere. Osservando e fronteggiando i sintomi di un’epidemia, bisogna pensare molto all’ambiente, riconoscere che le pandemie hanno forti connessioni con le condizioni ambientali. Invece sembra di percepire una sorta di analfabetismo ecologico, inammissibile in un’età come la nostra.

La crisi sanitaria può essere gestita bene o male; il risultato è che in genere è gestita alla meglio. Si possono avere opinioni diverse in merito, ma il dato vero è che essa fa emergere in modo prepotente i guai del sistema, a partire dalla questione ambientale e dai problemi sociali, dall’impatto sugli ecosistemi e dalle disuguaglianze. Di questo dovremmo occuparci fin da ora, non dopo, affinché la crisi epidemica, come ogni crisi, possa essere anche levatrice di futuro e ci restituisca alla fine un mondo migliore di quello che ha trovato. E che l’ha generata.

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