In ricordo di Enzo Nocera

di Francesco D’Episcopo

Conobbi Enzo Nocera tanti anni fa. La prima volta in cui ci incontrammo, senza esserci mai conosciuti di persona, era elegantissimo, con giacca blu, forse perché avrebbe dovuto incontrare un docente universitario, e fu facile subito intendersi e avviare un rapporto, fatto di simpatia e stima reciproche. Cominciavo a occuparmi di Jovine, al quale pensai di dedicare uno dei primi volumi monografici, legati, come sempre, al nostro Molise, e per poterlo seguire meglio, lo feci comporre (allora si lavorava ancora con macchinari a piombo) nella città in cui abitavo, dove lavorava un amico tipografo, con il quale felicemente collaboravo.

A fiuto, in me purtroppo troppo forte, non mi fidai del tutto della presunta scombinatezza di un editore (la scrittura e la stampa sono una cosa seria), di cui non avevo avuto alcuna esperienza diretta. Tutto andò bene e quel libro resta uno dei più corretti della mia, in seguito, sconfinata bibliografia, anche joviniana.

Diventammo amici e insieme, dopo aver ricevuto la facile autorizzazione degli eredi, decidemmo di ristampare un importante romanzo dello scrittore molisano, Ragazza sola, apparso a puntate sulla rivista “I Diritti della Scuola”, dove Jovine collaborava intensamente.

Divenni per Enzo, e forse non solo per lui, in quei lontani anni giovanili, lo jovinista per eccellenza e mi confermò questa sua persuasione, quando mi invitò a stendere una sorta di bibliografia dello scrittore, destinata a durare sebbene non facilmente rintracciabile.

Enzo era un personaggio particolare, creativo, esuberante, sussultorio, estremamente attivo e mobile, come deve essere ogni buon editore, che introdusse in Molise una editoria moderna e consapevole. Amava molte cose e sapeva fare l’editore, convinto che la funzione di quest’ultimo fosse anche quella di interessarsi, ad ogni livello, politico, sociale, culturale, del proprio territorio. Con l’editore Cosmo Marinelli di Isernia, così diverso se non opposto da lui, è stato quello che ha dato al Molise una editoria, rivolta a farlo meglio conoscere e valorizzare in chiave consona ai tempi che stavamo vivendo.

Stava spesso a Roma, in un albergo in una traversa di via Nazionale. Una delle ultime volte in cui l’ho incontrato, era diretto in pullman a Napoli, ospite di un grande collezionista di quadri a Capodimonte. Non guidava e la cosa, oltre a non pesargli, rendeva la sua vita ancora più nomade e avventurosa. Durante le vacanze, amava appartarsi in una località silenziosa del suo Molise.

Prediligeva tutto ciò che era rimasto autentico, naturale, non contraffatto da un consumismo bieco e stupido (era molto intelligente): il contatto con gli zingari e con tutti coloro, che, ai margini della società ufficiale, conservavano tradizioni autentiche e non contaminate dallo pseudo-progresso; amava il buon cibo (immancabile il peperoncino, che portava con sé), al quale con l’Accademia nazionale della cucina dedicò, vivendo e scrivendo, uno spazio non trascurabile; ma Enzo fu anche un bravo scrittore e i suoi romanzi avrebbero meritato un’attenzione meno epidermica ed effimera, sia per la forma che per il contenuto.

Ciao Enzo, in questi tuoi ultimi anni ci siamo incontrati poche volte nel tuo stanzone colmo di libri, nel cuore di Campobasso, e fino alla fine mi hai proposto qualcosa: una telefonata, che non è mai arrivata da Santa Croce di Magliano, per una nuova intrapresa editoriale su Raffaele Capriglione, che, come tanti molisani viventi o scomparsi, tanto ti deve.

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