Quartiere, città, provincia, mondo

di William Mussini 

Ricordo che negli anni ’80, nel mio quartiere mondo, condominio di un caseggiato di provincia piccola e marginale, la vita di noi ragazzi in maggioranza undicenni, si svolgeva per buona parte in strada, a partire dai primi caldi di aprile sino alle ultime giornate di sole ottobrine. Dopo la scuola ed il pranzo in famiglia (rarissimamente a casa di amici), ci si dedicava ad un ripasso delle materie scolastiche su libri ereditati da fratelli o acquistati al mercatino dell’usato. Poi, appena possibile, da buoni adolescenti irrequieti, ci si ritrovava in strada a celebrare la vita e a coltivare spontaneamente l’empirismo quotidiano dello “sbagliando si impara”.

Campobasso era la nostra micro-galassia, il quartiere Cep (coordinamento di edilizia popolare) il nostro personale sistema solare confinante, le viottole e i cortili, di fatto, rappresentavano i nostri pianeti dove ci si incontrava per giocare, per ridere, per fare a botte a volte, per evadere dalla rassicurante prigione di mura casalinghe.

Di storie più o meno memorabili ne accadevano tante, spesso legate a fatti divertenti, ma non di rado anche a situazioni drammatiche, molto poco piacevoli. Nel nostro piccolo villaggio composto da oltre trenta ragazzini, per la maggioranza abitanti in Via XXIV Maggio e Viale Mazzini, si venne a creare, col tempo, una sorta di microsocietà spontanea, composta da una popolazione eterogenea di individui con specifiche caratteristiche, tutti diversi ma uniti nella condivisione degli spazi ed in perenne trasformazione.

Ogni cittadino del villaggio assunse il proprio ruolo specifico, secondo leggi non scritte, grazie alla capacità di identificare gli altri e di riconoscersi nel gruppo. Coloro i quali possedevano più forza fisica ed una forte personalità, ad esempio, erano i più rispettati, temuti ed allo stesso tempo imitati dai gregari. Quest’ultimi, i gregari, rappresentavano la maggior parte dei cittadini che, solitamente, si accontentavano di vivere indisturbati subendo di tanto in tanto l’onta della prevaricazione da parte dell’autoritario “ras del quartiere” di turno.

La nostra microsocietà di quartiere era composta da tutte quelle figure che, come nelle macro-società multirazziali moderne, formano e caratterizzano gli apparati comunitari umani. C’erano i buoni, i cattivi, gli indolenti, i tuttofare, i disturbatori, i controllori, i lestofanti, i giustizieri, i furbi e gli allocchi, gli onesti e i traditori.

A partire dalla seconda metà degli anni ’70 sino alla fine degli ’80, ricordo che c’era, nostro malgrado, a capo della nostra piccola comunità, un personaggio che chiamerò fittiziamente Francesco, il quale riuscì a condizionare negativamente la vita di numerosi cittadini adolescenti. In particolare, il bullo Francesco, prese di mira i più piccoli, la minoranza dei timidi e dei taciturni, nonché quei ragazzi fisicamente gracili e poco inclini alla ribellione.

Quando scendeva in strada Francesco, molti di noi si dileguavano, pochi si mostravano amichevoli, soltanto un paio lo assecondavano nelle sue angherie. Francesco era molto violento, si esprimeva con le mani e con il turpiloquio, era molto sveglio, furbo al punto da riuscire a rubare l’uva del fruttivendolo ambulante sotto i suoi occhi, distraendolo con l’abilità d’un prestigiatore. C’era chi fra noi lo ammirava pur temendo le sue reazioni e la sua prepotenza. Molti di noi preferivano non raccontare nulla di quanto subivano dal bulletto di quartiere, per timore delle ritorsioni abbassavano lo sguardo, perennemente minacciati da quella personalità violenta e senza scrupoli.

Francesco, in particolare, si macchiò d’uno squallido crimine, quando prese di mira uno dei nostri compagni che chiamerò Umberto, ragazzino di 13 anni, silenzioso e docile, sempre in coda al gruppo, poco presente nei momenti di svago in cortile. Francesco gli aveva affibbiato il nomignolo di “topo”. Il “topo” Umberto, secondo la logica del bullo, doveva sottostare quotidianamente ad una serie di insulti verbali, di schiaffi sulla nuca e calci nel sedere, senza osare alcuna reazione e senza lamentarsi troppo.

Gli amici di Umberto e di Francesco spesso tentavano di prendere le difese del povero “topo” e, facendosi coraggio a vicenda, lo liberavano dalle prese al collo di Francesco, oppure correvano a chiamare i ragazzi più grandi per porre fine alle aggressioni. Ciò nonostante, col tempo, si instaurò nel gruppo una linea d’azione conformista che accettava e spalleggiava i comportamenti autoritari di Francesco. Il “topo” Umberto divenne vittima di soprusi da parte di numerosi finti amici, la sua funzione di “agnello sacrificale” fu legittimata dal gruppo e ben pochi di noi rimasero a difenderlo ed a provare compassione per lui.

Il gruppo divenne ben presto complice e carnefice, per convenienza ed opportunismo, per viltà e senso di appartenenza, emarginò, vessò e oppresse fisicamente e psicologicamente il “topo” che nessuno, tranne pochissimi, chiamava più col nome di Umberto.

Umberto divenne per la maggioranza dei cittadini dello Stato chiamato quartiere, il paria da additare, colpire ed emarginare; allo stesso tempo il bullo Francesco, assunse sempre di più il ruolo di leader indiscusso, attorniato dai suoi fedeli pretoriani, lasciato libero di esercitare il suo dominio con la complicità degli omertosi amici di cortile.

La dinamica comportamentale che vide l’inesorabile scollamento delle amicizie fra noi ragazzi degli anni ’80 assomiglia molto a quella che, ai giorni nostri, provoca la divisione faziosa fra italiani conformisti e italiani anticonformisti. L’innesco di queste dinamiche deleterie è causato, oggi come allora, da una volontà coercitiva e dispotica di un bullo-autorità, accettata dalla maggioranza complice dei cittadini.

Non mi stancherò mai di domandarmi per quale vile ragione quei compagni di allora non difesero Umberto ma piuttosto scelsero di stare dalla parte del più forte e violento Francesco. Quella sorta di forma pensiero negativa che il bullo aveva creato nel nostro gruppo, si concretizzò grazie all’accettazione e alla imitazione di tutti i cittadini del quartiere-mondo. L’accanimento di Francesco nei confronti di una persona debole, diversa e non integrata è come quello che esercita un governo nei confronti di minoranze non allineate e dubbiose, quando, con un qualsiasi pretesto arbitrario ma validato da presunte certezze scientifiche, valica i confini del diritto naturale, costringendo con il ricatto della paura milioni di persone ad eseguire, contro la propria volontà, azioni e comportamenti potenzialmente autolesionisti.

Con buona pace di chi allora, fra i miei amici, si schierò dalla parte del bullo Francesco per non affrontare le conseguenze di scelte più consapevoli, etiche e controcorrente, la mia posizione rimane oggi come allora, quella di chi decide di ribellarsi al bullismo di Stato e di seguire il proprio senso di giustizia nel pieno rispetto dei più deboli e delle minoranze discriminate, osservando la realtà dei fatti, usando la logica ed il buon senso e senza il filtro ipnotizzante dei media.

Umberto mi ringraziò per averlo difeso e protetto quel giorno in cui, insieme ad altri due compagni, decisi di intervenire fisicamente contro il “ras”. Nonostante la maggioranza continuasse a chiamarlo “topo”, ritornò pian piano a sorridere e a trovare conforto nell’amicizia di chi non lo tradì per compiacere il capo branco autoritario e violento.

Oggi come allora mi sento in dovere di difendere i deboli e i discriminati da qualsivoglia azione prevaricatoria, ricattatoria e violenta, sia che essa provenga da un dittatore, sia che essa provenga da un governo fintamente democratico. Oggi come allora auspico che l’umanità possa assumere, prima o poi, il compito di autogestire in comunione i popoli, seguendo un modello di cooperazione, nel pieno rispetto dei valori etici universali, accantonando definitivamente la visione competitiva dell’esistenza e l’esercizio autoritario piramidale del potere.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

0 Comments

Lascia un commento

Login

Welcome! Login in to your account

Remember me Lost your password?

Lost Password