Torri, torrette, torrioni in campagna e in città

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Infatti vi sono architetture turriformi tanto in campagna quanto in città. Nel primo caso si tratta di torri isolate, nel secondo prevalentemente di opere turrite siano esse castelli o siano cinte urbiche.

Qui parleremo di torri, ma non solo di quelle che stanno isolate interessandoci pure delle mura turrite e dei torrioni dei castelli. Le torri davvero isolate sono pochissime, ce n’è una che si scorge dalla Trignina non appena si entra nel basso Molise, la torre di Magliano che pur distante è il “patronimico” del comune di S. Croce, appunto, di Magliano, la Rocca di Oratino e la torretta a confine tra gli agri di Busso e Baranello e qualcun’altra.

Delle citate solo la prima ha pianta circolare la quale invece è la sola forma planimetrica delle torri che svettano solitarie negli abitati: a Riccia e a Colletorto dove sono chiamate angioine, a Roccapipirozzi e a Campochiaro, le più significative che sono autentici torrioni. Rimanendo alla torre a sé stante vi è nel Molise pure un’esemplare di casa-torre che sta a Caselvatico, una frazione minuscola di Cercemaggiore la cui base è quadrangolare e avente più di un vano per piano a differenza del resto delle torri che presentano un ambiente unico per ciascun livello, oltre ad essere planimetricamente tonde.

Infine anche qui da noi c’è la particolarissima e rarissima tipologia della motta fatta da un reinterro di geometria tronco-conica di una certa altezza, minimo 7 metri, e dotata di una palizzata in cima, difficilmente individuabile oggi a causa del reinselvatichimento delle campagne che ha ricoperto di vegetazione arbustiva ogni cosa: testimonianze di simile tipo di fortificazione il quale è il solo tipo possibile nelle aree pianeggianti (frequente nella Pianura Padana, perciò) mancando rilievi naturali ivi da sfruttare a scopo difensivo, la motta è una collinetta artificiale riconoscibile per il perimetro basamentale rotondo, un suo forte connotato  distintivo, stanno in un altopiano di Vastogirardi e a Colletorto secondo una fonte bibliografica locale.

Passiamo ora dagli elementi turriformi, espressione che serve anche ad includere le motte, che stanno da soli (non, però, appartati perché spesso sono centralissimi all’interno dell’ambito territoriale in cui insistono, vedi le torrette nominate all’inizio sul Biferno) a quelli che stanno, per così dire, in compagnia, o di un castello o di una murazione urbica. Per quanto riguarda la prima fattispecie abbiamo due casi limite: la fortezza longobarda di Tufara non ha neanche una torre, la rocca, appropriato è chiamarla così non solo perché siamo a Roccamandolfi, del conte, anch’esso longobardo, Maginulfo, nonostante sia più piccola, ne ha quasi una mezza dozzina affiancate in maniera serrata fra loro quasi fossero, è un’immagine presa a prestito, canne d’organo.

Le torri delle architetture castellane sono tondeggianti in quanto generalmente sono, se si può dire, delle semitorri le quali si completano con la metà mancante solamente nel tratto che fuoriesce al di sopra della linea di coronamento del castello e ciò accade di rado, a Torella e a Carpinone. Ci sono, comunque, castelli con torri quadrate, l’unica torre del castello di Pescolanciano e quella del Palazzo baronale di Civitanova, appartenenti entrambi alla medesima famiglia plurifeudale dei D’Alessandro.

Le torri dei manieri più dei manieri stessi sono state oggetto di trasformazioni, spesso e volentieri. Le torri che, in fin dei conti sono appendici dei castelli, di frequente hanno avuto una sorte indipendente dagli stessi. Per esemplificare scegliamo due situazioni, perlappunto, esemplari, i castelli di Campobasso e di Ferrazzano.

Nel primo esse sono state adattate alle nuove tecniche militari conseguenti alla comparsa delle armi da fuoco abbassandole per posizionarvi la bombarda, nel secondo le due torri poste ai lati della facciata centrale hanno avuto un destino dissimile, in entrambi i casi emblematico di quanto è accaduto alle opere fortificate, finite le esigenze difensive, in età moderna: quella di sinistra, mettendosi di fronte al, perlappunto, fronte d’ingresso, è stata “cimata” per ottenere un terrazzino, quella di destra, se semicilindrica come l’altra fino ad una certa altezza diventa cilindrica nella parte superiore quale conseguenza dell’essere diventata il serbatoio dell’acquedotto comunale.

È da notare a quest’ultimo proposito che anche nel castello di Vastogirardi, pure questo sito è il punto più alto del paese, la Cassa per il Mezzogiorno ha collocato il serbatoio idrico, costruendo un volume tecnologico ex novo che assomiglia ad una torre non sfruttando alcuna delle esistenti a tale scopo; per dovere di cronaca nel comune altomolisano si è deciso di delocalizzare il serbatoio demolendo così la torre posticcia (che poiché imitazione, in scala ridotta, della Torre Velasca di Milano era doppiamente posticcia).

In definitiva le torri possono venire alterate senza che il corpo principale del castello cui sono collegate sostanzialmente ne abbia ripercussioni, ma non è vero il contrario, è ovvio, e cioè che le torri rimangano in piedi mentre tutto il resto del castello va a terra, non si è mai visto. Poiché tanti castelli nel Molise, per svariate ragioni, sono ridotti a rudere, se turriti, allora pure le torri sono crollate; una fortuna migliore hanno avuto le torri che arricchiscono la cerchia muraria urbana come si può constatare a Morrone del S., Vinchiaturo, ecc., avendo dimostrato le murazioni di possedere una notevole forza d’inerzia superiore e quella dei castelli, la quale ha permesso loro di sopravvivere.

Le torri, elementi nati per la difesa, ad ogni modo, soffrono della loro incapacità, in quanto a tipologia architettonica, ad adattarsi a nuove destinazioni d’uso. Salvo il torrione pertinente al castello di Trivento che è diventato un frantoio, è difficile trovare torri che siano state capaci di rinnovarsi funzionalmente. Per la Torre Terzano sulla Collina Monforte si è pensato ad un utilizzo contemporaneo legato al turismo racchiudendovi dentro il fantoccio di Delicata Civerra che dopo la morte del suo amato si chiuse nella cella di un convento. Può capitare che le torri cozzino con le esigenze della modernità: è successo a Capracotta dove una torre è stata demolita per migliorare la circolazione veicolare cittadina, una delle poche testimonianze medioevali sopravvissute alle distruzioni belliche essendo l’Alto Molise su una linea di fronte della II Guerra Mondiale. Forse sarebbe il caso di ricostruirla, almeno il volume.

Francesco Manfredi Selvaggi640 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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