I “Tre giorni” di Giuseppe Zio

Il romanzo “Tre giorni” di Giuseppe Zio è stato pubblicato nel 2018 dalle Edizioni Lilit Books;  riprende il tema del precedente romanzo dello stesso autore intitolato “Leo”, sulla vita del Santo Patrono di San Martino in Pensilis, approfondendo le origini del culto.

Lilit Books / photo © Pierangelo Laterza
Lilit Books / photo © Pierangelo Laterza

Un libro come un’antica mappa in bianco e nero, che qualcuno ha voluto riprendere per orientarsi, per comprendere. Al centro, l’antica Terra di San Martino, con i suoi feudi, i monasteri attivi e quelli che, invece, decaduti e ridotti a cumuli di macerie, appaiono come la metafora della caducità della Chiesa dell’epoca. Siamo nel passo buio del Medioevo, quando l’eresia s’insinua, come erba infestante, tra le crepe di quell’Istituzione minata da guerre e declino dei valori, e indebolita nel carisma. Contro il pensiero eretico, allora, viene apprestato uno “strumento” ad hoc, l’Inquisizione, che, con la sua mano pesante, sopprime tutte le nuove teorie religiose, quelle non nate dal grembo di Santa Romana Chiesa, atte a sovvertire e minacciare il dogma cristiano.

In questo fosco scenario, tra leggenda e storia, si stagliano le vicende legate alla traslazione delle reliquie di San Leo, fulcro e cuore pulsante di tutto il romanzo, che abbracciano un arco di tempo che va dal 1173 al 1178. Così, a riprova del clima di separazione regnante, il racconto si popola di personaggi opposti e contrapposti, a creare quasi due fazioni. Da una parte, infatti, si trovano il Priore della Chiesa di San Nicola con il pittore, suo amico e aiutante, la Chiesa con a capo il Vescovo, e un nobile cavaliere senza paura, a rappresentare tutti la “verità indiscussa”, mentre, dall’altra, Basilio, monaco che con i suoi proseliti ha attirato a sé molte “pecore”, creando una comunità “altra” all’interno dello stesso territorio, ma diversa e per questo eretica.

Un gruppo chiuso, isolato, “dedito alla povertà”, alla vita semplice. E nel mezzo, l’amore, fortemente contrastato, tra il pittore e la bella Caterina. Tra l’una e l’altra compagine, in una posizione più che neutrale, indifferente, si pongono i Teodoro, Signori di quella terra, che, senza un “credo” forte e delineato, non entrano in contrasto con i “disubbidienti”, poiché pagano puntualmente i tributi, né con la comunità cristiana verso la quale sembrano nutrire un velato timore reverenziale. Ecco, allora, che, in un clima di paura, ambiguità, sospetti, attentati alla vita, minacce fisiche e verbali provenienti da quella gente “smarrita”, il Priore, arguto e lungimirante, illuminato dalla fede, partorisce un’intuizione risolutrice, miracolosa, per riportare il gregge sulla retta via e allontanare il monaco con le sue provocazioni blasfeme; la soluzione è proprio legata ai nobili resti dell’Abate Leo, tanto venerato e amato, che si fanno cardine intorno a cui tutto si svolge, ogni cosa confluisce, in termini di gesta eroiche ed eventi, fino a giungere all’epilogo.

Il racconto, con il suo stile fluido e coerente, le descrizioni paesaggistiche che passano attraverso lo sguardo illuminato, e a volte malinconico del Priore, accompagna il lettore in un viaggio a ritroso nel tempo, fino al profondo senso di una fervida devozione per comprenderne la radice, per esserne cosciente. E la luce dei luoghi, dapprima fioca, nebbiosa, solo a sprazzi illuminata dal cipiglio dell’uomo di fede o dai colori di qualche affresco, seguendo il dipanarsi delle vicende, diviene via via più chiara, fulgida. Il lessico, ricco di termini propri dell’etimologia ecclesiastica, si fa ancor più stimolante e istruttivo quando contempla vocaboli propri del tempo, che sono raccolti in un glossario che correda il testo. Interessanti i vari riferimenti storici, corredati da una cospicua bibliografia, sembrano introdotti per cercare di ricostruire l’intera vicenda e cercare un punto di incontro con il racconto tradizionale, oralmente tramandato.

Ma ogni singola parola è la tessera di un grande mosaico per giungere a una conclusione il più possibile vicina alla verità, senza la velleità, da parte dell’autore, di esserne depositario, attraverso una lunga riflessione su ciò che sono il bene e il male, sui ruoli del sacro e del “profano”.  E, il dubbio, sintomo di quella intelligenza tesa a indagare per osservare i diversi punti di vista, s’insinua, allora, nel profondo di chi legge il quale è portato a concretare che, forse, come ciò che è canonico è dato per vero perché riceve una sorta di sigillo storico, così, ciò che non è ufficializzato può essere altrettanto attendibile se studiato in profondità e, soprattutto, scremato da quelle valenze negative che sono figlie del pregiudizio. Insomma, la verità non è unica, ma muta con il variare della prospettiva, dell’angolazione di chi la guarda. L’eresia, tanto ostracizzata e temuta, forse era depositaria di qualche alto pensiero che, però, non si è colto perché troppo difforme, diverso e, quindi, pericoloso. In fondo, anche la Storia, al pari della leggenda, non ha valore eterno quando, attraversando i secoli, giunge orfana di fatti o ridondante d’inganni.

Tre giorni
di Giuseppe Zio
Collana: Narratori de Il paese dei libri
pagg. 214/euro 16

Anna Maria Di Pietro90 Posts

Nata a Roma (Rm) nel 1973, studi classici, appassionata lettrice e book infuencer, si occupa di recensioni di libri e di interviste agli autori, soprattutto emergenti.

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