All’ex Gil la proiezione di “Bioresistenze”

Venerdi 10, presso l’auditorium dell’ex Gil a Campobasso, grazie alle iniziative convergenti dell’Università del Molise e di CIA (il sindacato degli agricoltori), si è svolta la presentazione del docufilm intitolato “Bioresistenze-testimoni di un impegno”, a cui ha fatto seguito un dibattito coordinato da Marco Marchetti, docente di Scienze e tecnologie forestali e ambientali presso l’Università del Molise .

Dopo i saluti di Simone Cretella, assessore all’ambiente del Comune di Campobasso, che ha voluto dichiarare l’attenzione da parte di tutta l’Amministrazione verso i temi dell’iniziativa, ha avuto luogo la proiezione del documentario in cui l’autore Guido Turus ha raccolto una serie di testimonianze da parte di imprenditori agricoli ma anche di docenti ed esperti a vario titolo del mondo agricolo, tutti comunque accumunati dalla convinzione che il futuro del nostro Paese risieda in una rinnovata e modernissima concezione di ruralità.

Lo stesso autore, intervenuto subito dopo la proiezione, raccogliendo la traccia stimolante posta in apertura dal prof. Marchetti, ha sviluppato il suo intervento cercando di porre su un unico filo conduttore le espressioni: etica, economia, ecologia.

Dunque, Turus ha sottolineato la sua scelta di soffermarsi col suo lavoro non su esperienze di volontariato ma su cittadini e aziende che stanno sul mercato e si prendono la responsabilità di decidere da che parte stare.

In questo modo ha spiegato anche il riferimento alla resistenza partigiana. Dobbiamo assumerci la responsabilità – ha detto l’autore – rispetto al mondo in cui viviamo. Essere responsabili significa decidere cosa fare, cioè se essere pro o contro le mafie, pro o contro la distruzione del paesaggio e del suolo.

L’autore ha chiuso raccontando l’esperienza significativa di Rosarno dove ha incontrato un gruppo di agricoltori che vedendo le loro quote di mercato sempre più erose dai prodotti di provenienza estera, hanno deciso di mettersi insieme, fare una cooperativa per produrre biologico e riguadagnare fette di mercato che stavano perdendo.

Questo, secondo Turus, è appunto un esempio di meccanismo positivo dove motivazioni economiche spingono a occuparsi di ambiente in un certo modo, per creare un prodotto diverso.

A un certo punto gli agricoltori si sono chiesti: possiamo fare agricoltura biologica utilizzando i servizi del caporalato? E si sono risposti di no, perché l’agricoltura biologica non si può fare sfruttando e ledendo i diritti dei lavoratori.

Da ciò la conclusione che la responsabilità che dobbiamo maturare non è settoriale ma deve riguardare i beni comuni in generale. Fare agricoltura in un certo modo piuttosto che in un altro ha delle ricadute etiche e politiche enormi.

Subito dopo l’autore ha preso la parola Domenico Campolieti, direttore di CIA-Molise, che ha parlato delle conseguenze prodotte dall’agricoltura intensiva in termini di perdita del suolo e di come, se da una parte l’abbandono porta ad un depauperamento, l’agricoltura intensiva porta alla sterilizzazione del suolo per alcuni decenni, il che significa disperdere il patrimonio delle future generazioni.

Campolieti ha proposto poi, provocatoriamente, in senso positivo, un salto di qualità, da “bioresistenza” a “bioresilienza” intesa come qualcosa che possa servire per risollevare la china e invertire la rotta.

Rossano Pazzagli, docente all’Unimol di Storia del territorio e dell’ambiente, si è congratulato con l’autore del documentario per aver ridato voce a un mondo che l’aveva perduta, il mondo dell’agricoltura.

Una Regione come il Molise – ha argomentato Pazzagli – deve individuare nelle campagne, nella ruralità e nei suoi caratteri ambientali l’elemento di forza per uscire dalla crisi. L’agricoltura è stata il passato dell’Italia ma in questo senso è anche il suo futuro. Oggi l’agricoltura presenta questa doppia faccia: è portata avanti dai pochi che sono rimasti e da quelli che cercano di ritornare. Entrambi sono resistenti e combattenti contro una civiltà prima industriale, poi dei consumi, che li aveva marginalizzati. Il film ci dice appunto che la prima funzione dell’agricoltura è quella di produrre cibo. Poi c’è quella degli agricoltori che producendo cibo costruiscono paesaggio che è un’altra risorsa importantissima. Il paesaggio non è solo panorama, ma una realtà viva fatta di relazioni e di sentimenti. Dunque agricoltori, produttori di cibo e costruttori di paesaggio. In questo senso il film è il ritratto del Paese ed è anche una scelta di campo. Non è solo un invito al ritorno ma anche la domanda su quale tipo di agricoltura, di turismo, di economia, di modello vogliamo adottare.

Infine è intervenuto Antonio Ruggieri, direttore de Il Bene Comune, che ha sottolineato l’importanza della comunicazione e il fatto che ragazzi ormai vivono sui social.

La ruralità è un sofisticato progetto che è un nuovo modello di sviluppo. Un processo – ha chiarito il direttore della rivista – che si appella alla responsabilità attiva e partecipata dei cittadini.

Infine, ha ricordato l’esperienza di Hayet che a Bojano ha messo insieme alcune persone che avevano perso il lavoro con ragazzi senegalesi e con giovani del posto che hanno scelto la ruralità per ridefinire il proprio lavoro. A proposito di come la comunicazione fa responsabilità, consapevolezza e partecipazione, questi ragazzi senegalesi che hanno dato vita ad Hayet sono dovuti andar via a causa dei decreti sicurezza del precedente governo e adesso non si sa dove siano. Ebbene il dibattito su questo è assente. Se noi abbiamo bisogno di nuovi residenti che vengano da ogni parte per corroborare questa prospettiva neoruralista, noi dobbiamo discutere di tutto questo assumendoci la responsabilità politica, culturale, civile di partecipare a questa prospettiva per ridisegnare un modello di sviluppo che è essenzialmente comunicazione.

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