Tenet. La recensione senza spoiler

Un esemplare di quadrato di Sator, l’incisione latina che ha ispirato il film Tenet, si trova anche in Molise.

Col Maestoso di Campobasso inspiegabilmente chiuso a tempo indeterminato e una regione intera rimasta senza cinema, si va a Torrecuso (BN) a vedere l’ultima trovata di Christopher Nolan, il regista più amato/odiato del pianeta.

Vent’anni fa (Memento, 2000) un semisconosciuto regista inglese stupiva tutti con un’opera che invertiva il tempo della narrazione con un unico complesso reverse in fase di montaggio. Oggi, a quello stesso regista, diventato nel frattempo “grosso” e pieno di budget, ciò che preme è filmare un tempo soggettivo, che può contenere contemporaneamente i tasti play e rewind.

Rispetto ai più noti viaggi nel tempo di celluloide come Ritorno al Futuro, qui la messa in scena è come sempre funzionale ad una enorme, gigantesca pretesa di scientificità. L’approccio è simulativo, per dirla in gergo videoludico, ma sempre con un occhio strizzato all’arcade. Per scorrere all’indietro (che poi a ben vedere è uno scorrere in avanti con le cose che reagiscono all’indietro…. aaaargh!!!) c’è bisogno di un respiratore, tanto per dirne una.

Orfano della penna di suo fratello Jonathan, Chris scrive e dirige il primo kolossal di celluloide post-Covid. La promozione del film è come al solito fantastica, il trailer è un concentrato di azione e mistero, spy story, scienza e fantascienza, il tutto accompagnato dall’ormai consueto reparto sonoro debordante e angoscioso che ha tutto di Hans Zimmer ma, a sorpresa, non è Hans Zimmer.

Il contesto urbano, asettico, ultramoderno ricorda molto da vicino le produzioni nolaniane più recenti e gli attori principali sembrano presi dalla pubblicità di un profumo francese o di una di quelle automobili che noi comuni mortali non potremmo mai permetterci. La protagonista femminile è altissima e algida che neanche il cornetto.

In prima linea, il prezzemolone nuovo cavaliere oscuro Robert Pattinson e John David il senza nome (the Protagonist) ma con un cognome grosso come una casa (Washington), già stimato oltremodo in Blackkklansman di Spike Lee.

L’inizio butta subito tutto in caciara e il mondo in cui veniamo catapultati si fa indecifrabile. Una cosa sola è chiara: al centro di tutto c’è una tecnologia in grado di invertire il corso del tempo.

Peccato che questa diavoleria venuta dal futuro (abbozzata, teorica, mai approfondita) sembri più una trovata per girare alcune notevolissime scene in reverse e mascherare talvolta l’assenza generale di “ciccia”.

Con lo scorrere dei minuti, insieme ad un certo sense of wonder, la confusione si fa insostenibile e ci si accorge di un altro paio di cosette.

Uno. È un film di James Bond ma di quelli vecchi vecchi, coi cattivoni un po’ ingessati. Mai visto un Kenneth Branagh così incolore.

Due. Così come il titolo, anche il film ha una struttura palindroma, che prende spunto dalle 5 parole che compongono il c.d. quadrato del Sator o “quadrato magico”: un’antica iscrizione latina che resta invariata sia se la si legge partendo da sinistra, sia in senso contrario. Per vederne un esemplare circolare non occorre uscire dal Molise, visto che è possibile trovarla nella Chiesa di Santa Maria Ester ad Acquaviva Collecroce (CB).

Da buon film palindromo, Tenet nella prima metà ci porta da A a B, gettando qua e là dettagli apparentemente di contorno, mentre poi torna da B ad A, con i dettagli di cui sopra che acquistano magicamente significato. Nolaniani e onanisti dell’ultima ora, gioite.

Il regista di Memento ambisce dichiaratamente alla perfezione col suo giochino, il che non vuol dire che il film sia perfetto, né che per capirne la trama occorrano almeno due lauree in fisica teorica (Cit. Mereghetti). Tutt’altro.

È più che altro un discorso di aspettative. Ogni film di Nolan parte da basi scientifiche o pseudotali e promette di esplorare fino a varcarli i confini della realtà. Il fatto che poi non ci riesca poco importa, perché il prodotto è talmente ben confezionato da lasciarti comunque un senso di sazietà notevole. Deludere parecchie aspettative, insomma, non gli impedisce di diventare un evento da cui è lecito aspettarsi una rivelazione finale (vedi Interstellar).

Il tempo è da sempre un’ossessione nolaniana. Una delle più belle trovate di Inception era mostrarci quanto la realtà nella dimensione onirica scorresse decisamente più lenta di quella alla luce del sole (fantastica la sequenza del furgone che cade dal ponte). Qui invece vediamo palazzi distruggersi e ricomporsi nello stesso frame ma il livello qualitativo è complessivamente calato rispetto al solito, specie dal pdv della sceneggiatura.

A mente fredda, quando la proiezione di Tenet finisce, non sai dove finisca la specializzazione in fisica quantistica e cominci la supercazzola brematurata. Quello che sai è che hai assistito ad un grande spettacolo, costato tanto in termini di risorse e di idee. Stavolta il viaggio nolaniano è in tono minore, un palindromo imperfetto come il cognome Nolan.

Giuseppe Piacente10 Posts

Nato a Isernia (IS) nel 1980. Si è trasferito a Roma molto più tardi, laureato in Scienze della Comunicazione, “masterizzato" in Scrittura creativa, ha ricevuto il tesserino da Giornalista pubblicista nel lontano 2008. Ha scritto, redatto, corretto, intervistato, editato, indicizzato e continua ancora a fare tutte queste cose. Vive tra Molise, Lazio e World Wide Web. Il suo blog di cinema: copyisteria.altervista.org

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