Intervista ad Antonio Mastrogiorgio, autore della silloge “È Finita La Gioventù”.

Poesie come piccoli quadri, dove l’autore, tra i diciannove e i ventisette anni, ha impresso scene di vita vissuta, attimi quotidiani, semplici storie, ma vere e genuine, in un Molise di provincia che appare per quello che è, senza filtri, senza atmosfere edulcorate. I bar, le strade, una croce, i piccoli borghi desolati, il mare visto con i suoi occhi, luoghi amati e odiati, si incastrano perfettamente con una visione della vita che oscilla tra slancio e flemma, bianco e nero, morte e rinascita momentanea, ferocia e clemenza. Componimenti che   Antonio riprende quando si accorge che la gioventù è passata in fretta senza che se ne sia accorto. Con questa consapevolezza, e quasi rimproverandosi, ha raccolto i versi di quegli anni frammentati e ne ha fatto un libro. E chissà… in questo modo ha forse rimesso a posto i “cocci” di una esistenza ormai lontana.  

 Hai scritto la maggior parte dei tuoi componimenti intorno ai vent’anni. La decisione di pubblicare le poesie è coincisa con una maggiore consapevolezza di te?

Lo spero o comunque me lo auspico. Scrivere aiuta anche a organizzare i pensieri, le azioni, un po’ come quando uno segna gli impegni su di un’agenda. Durante il primo lockdown mi sono ritrovato tra le mani questi versi e ho avuto l’idea di pubblicarli, come per fare un punto della situazione. Allora mi sono reso conto della velocità, dell’incoscienza e dell’inconsapevolezza con le quali avevo vissuto la mia gioventù che, inevitabilmente, era quasi finita, anche se io non ero cambiato granché. Il titolo è un doppio monito: ricordati che non sei più un ragazzino e che il tempo passa in fretta.

 In più di qualche poesia compare l’espressione “cocci”. Rappresenta forse l’Antonio frammentato di un tempo?

I cocci sono quello che resta e che raccogli quando sei maldestro, distratto, poco lucido. Se ci sono dei cocci vuol dire che qualcosa è andato storto. L’integrità, tanto inseguita, è andata a farsi benedire. Non sai mai cosa fartene poi dei cocci: se provare a rimetterli insieme con la colla o buttarli nella spazzatura. Spesso sono anche pericolosi perché taglienti, abrasivi. Mi piace questa “simbologia”.

La poesia “C’è chi ha trovato una donna…” sembra descrivere il volto beffardo della vita, dove accanto a chi piange c’è chi ride. Sei d’accordo?

Esattamente! Il bene e il male. Lo yin e lo yang. Filosofi, religiosi, materialisti, tutti sembrano sapersi spiegare perché accade il bene o perché accade il male. Io, da ignorante miope, ne ho colto e sottolineato solo il volto beffardo, appunto. Forse perché nell’eterna dicotomia tra bene e male mi sono ritrovato sempre “dalla parte sbagliata della strada”, come dice una vecchia canzone.

 In alcuni versi, fermi gli attimi, i minuti, come quelli dei viaggi in pullman. Cosa c’è oltre il semplice tragitto?

Forse c’è l’ansietà di non essere né qui né là. Forse il bisogno di essere presente, di non perdersi nell’attesa. Cose comunque molto banali, comuni.

 Traspare una visione particolare della morte, alla quale attribuisci anche “il dolce sorriso”. Ci spieghi?

Per tutta la vita l’idea della morte ci perseguita, ci tormenta, ci fa marcire.  Forse, in quel determinato momento in cui ho scritto quel verso, volevo intendere una serena consapevolezza della fine, che ci guarda quasi ammiccando. È uno stato mentale rarissimo, prezioso. Dopo, purtroppo, torna l’angoscia.

 Il “Vento Zen”, che tu paragoni alla vita, sottolinea anche l’incapacità di fermarsi per vivere veramente?

Esattamente. Siamo sempre distratti rispetto a quello che succede fuori di noi, spesso ne siamo infastiditi addirittura. Come può succedere in una giornata di vento. Abbiamo una serie di faccenduole da sbrigare, di drammi personali, piccoli e grossi con i quali fare i conti, la gioventù passa, la vita finisce e non ce ne siamo accorti.

 E poi c’è il Molise, con i suoi paesi, le sue strade, i suoi bivi, i piccoli negozi di alimentari, i bar come unici luoghi di ritrovo. Quindi, non la descrizione dei posti più conosciuti, ma la fotografia degli aspetti veri, genuini…

Racconto la provincia così come l’ho vissuta, così come l’ho odiata e amata. Se ne parla spesso di periferia, di provincia, di zone interne, di borghi. Trovo che questi posti si descrivano sempre avvolti in un’aura di nostalgia, di compostezza, di pace che non sento autentica. Se vivi davvero in strada, sai che nel paese c’è anche emarginazione, disagio, eccesso, euforia, ruggine. Nei borghi ci sono uomini e donne, non santi. Vivono, amano, odiano come si vive, ama e odia in qualsiasi altra parte del mondo. È in un paese che vivo. Adesso ho imparato tante cose. Si può immaginare la difficoltà di restarci a galla a vent’anni. Da qui il bisogno di raccontare la mia visione di provincia, alla quale spero di poter dedicare un volume in futuro.

 Il messaggio appare chiaro: la gioventù è la metafora della vita che passa in fretta e, quindi, va vissuta attimo per attimo, senza perdersi. A chi è rivolto?

Non vorrei dare messaggi agli altri. Assolutamente. Ognuno ha la sua gioventù, la sua storia da vivere o raccontare. Come dicevo sopra, il monito è tutto per me. Spero solo che, in questi pochi versi, sia riuscito a distillare un po’ di bellezza da quello che avevo, e di poterla condividere con qualcuno.

 Chi è Antonio oggi?

Dipende da come si sveglia la mattina. Probabilmente è ancora un ragazzo. Di sicuro cerca di vivere in modo meno confuso.

 

Antonio Mastrogiorgio è nato a Campobasso nel 1986 e vive a Pietracatella. Fa l’operaio e, oltre alla passione per la poesia, guida da più di dieci anni un progetto musicale chiamato La Suonata Balorda, che nel 2015 ha vinto il Premio Fabrizio De André – Parlare Musica.

Anna Maria Di Pietro90 Posts

Nata a Roma (Rm) nel 1973, studi classici, appassionata lettrice e book infuencer, si occupa di recensioni di libri e di interviste agli autori, soprattutto emergenti.

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