Il quando, dove e perché dei santuari molisani

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Per capire queste strutture è necessario conoscere la loro datazione storica, le ragioni localizzative, l’origine del culto che lì si pratica e tante altre cose ancora. Qui ci si limita a rispondere alle 3 domande poste nel titolo.

Il tema dei santuari si può suddividere in una serie di tematiche ad essi connesse ovvero di questioni che sono il quando, il dove, il perché. La prima, visto che ci troviamo nel Molise patria dei Sanniti, coincidente con il quando, è quella dell’affermazione di siti di culto sparsi nell’agro fin dalle epoche più antiche; la nostra non è mai stata una civiltà urbana per cui le funzioni urbanistiche invece che accentrate in un luogo sono dislocate in parti diverse del territorio, una “zonizzazione” a maglie larghe riguardante pure “servizi religiosi”.

Succedeva così al tempo degli Italici i cui templi erano tutti rigorosamente extraurbani e, del resto, mancavano proprio le città, la popolazione, cioè le tribù (Pentri, Frentani, ecc.), era dispersa in un pulviscolo di vici. Con la conquista da parte di Roma del Sannio, cambiò il sistema insediativo e la struttura vicana lasciò il posto alle realtà cittadine, i municipia; oltre che le persone anche gli dei furono costretti a lasciare il territorio rurale e a urbanizzarsi. Alla caduta dell’Impero, caddero, o meglio decaddero, pure i centri coloniali e la gente ritornata a vivere in piccoli villaggi, riprese l’abitudine a edificare architetture sacre in campagna.

C’ne è quasi una per paese (S. Maria delle Fratte a S. Massimo, S. Maria delle Monache a Vinchiaturo, la Madonna in Altopede a Isernia e così via), un numero molto superiore a quelle sannitiche le quali, invece, erano una per comprensorio tribale; la differenza che, però, appare più interessante è la disparità di qualità architettonica a favore degli episodi cultuali pre-romani le cui valenze estetiche sono di molto superiori, si pensi all’area templare di carattere monumentale di Pietrabbondante, a quelle delle chiesette agresti tradizionali.

Un’altra divergenza di un certo rilievo che si riscontra, piuttosto che relativa alle dimensioni, solo l’area templare altomolisana appena citata fa eccezione, è un fuori-scala, è in riguardo alla diversificazione degli stili che è una caratteristica peculiare delle cappelle campestri c’è la facciata orizzontale di S. Maria di Casalpiano a Morrone del Sannio, il fronte a capanna di S. Nicola a Guardiaregia, ecc., mentre i templi italici hanno connotati stilistici simili, richiamanti tutti quelli ellenistici del templio Patuelli di Capua, località assoggettata dai Sanniti dove si avverte l’influsso culturale dell’avanzata civilizzazione della Magnagrecia: il podio dei templi di S. Giovanni in Galdo, di Vastogirardi, di Schiavi d’Abruzzo e di Pietrabbondante è proprio lo stesso.

Se si vuole trovare una ratio in quanto esposto essa non può che essere quella che la maggiore bellezza dei templi pagani di età sannita, desumibile dai loro ruderi, rispetto a quella dei pur suggestivi manufatti religiosi, del credo cristiano, per così dire, campagnoli scaturisce da una volontà di esibizione di ricchezza attraverso la costruzione di templi di pregio di tale remotissimo popolo che ha avuto una disponibilità di risorse tanto alta da consentire ad esso di tener fronte alla potenza dell’Urbe.

Passiamo alla seconda delle questioni annunciate all’inizio, premettendo, anzi promettendo che si sarà più sintetici che nel trattamento del punto precedente. Nel parlare del dove, è opportuno fare ritorno per un attimo a quanto (non è un ulteriore avverbio con cui ci misureremo, non c’è da preoccuparsi) appena esaminato ovverosia i santuari dell’antichità per specificare che essi sono localizzati esclusivamente in montagna. Nel Medioevo si riscontrerà una varietà di siti, da quelli montani, ad esempio S. Maria del, appunto, Monte a Campobasso a quelli di pianura, l’esemplificazione è S. Maria di Canneto nella piana alluvionale del Trigno a Roccavivara, gli estremi opposti.

La terza questione, è il suo turno, preannunciata è quella del perché, una interrogazione, dunque, sulle ragioni che hanno spinto alla fondazione del santuario. Esse possono essere molteplici, ne analizziamo alcune. Castelpetroso è il santuario maggiore, non c’è contrasto con la sua investitura a Basilica Minore, maggiore o minore dipende dai punti di vista, se lo si vede a scala locale appare a livello dell’Ecclesia, l’intera comunità cattolica e qui è avvenuta l’apparizione della Madonna, il principale fatto miracoloso accaduto nel Molise.

Le chiese extraurbane dedicate alla Madonna della Neve sono due, una sta a Baranello nella frazione Cappella che si denomina così in quanto sviluppatasi intorno all’edificio di culto e l’altra a Ripalimosani nella contrada Quercigliole in cui il gran numero di anelli di ferro agganciati al suo muro esterno per legare asini e cavalli è la testimonianza dello svolgimento di una fiera in occasione della festività religiosa. La festa è ad agosto mese davvero inusuale per una nevicata, evento straordinario che sa di sovrannaturale tanto che la credenza popolare, senza l’avallo delle autorità ecclesiastiche, lo associa alla comparsa della Madonna ad Nives.

A scanso di equivoci va detto che a Campitello si venera la Madonna delle Nevi e non della Neve, tutt’altra cosa. Sempre di un avvenimento prodigioso si tratta, ma di tipo differente, quello che ha portato alla costruzione dei santuari di Cercemaggiore e di S. Angelo Limosano, il ritrovamento di statue della Madonna rispettivamente della Libera e delle Stelle. Dalla effige al corpo vero e proprio, l’oggetto di venerazione cambia e ciò accade in santuari urbani, quali quello di Roccamandolfi in cui sono custodite le spoglie mortali di S. Liberato e quello di Civitanova del Sannio dove i resti sono di S. Felice.

Se nella campagna pure quando è “addomesticata” dal lavoro dell’uomo, coltivata, le forze misteriose della natura appaiono immanenti, per cui essa si presta ad ospitare fenomeni trascendenti, il paese, invece, è il luogo dell’ordinarietà che mal si concilia con la straordinarietà: da ciò ne discende che i santuari prediligono la collocazione nelle aree esterne agli abitati, distanti da fonti di distrazione, il più possibile a contatto con l’ambiente naturale se non, addirittura, le zone isolate, faticose da raggiungere come i S. Egidi di Boiano e Frosolone.

Francesco Manfredi Selvaggi578 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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