La world music, il Senegal e i viaggi – intervista con Youssou N’Dour

Qualche tempo fa, in occasione del concerto di Youssou N’Dour a Benevento, all’interno della rassegna Colori Sonori, nella splendida cornice del Teatro Romano, ebbi l’occasione e la fortuna di passare un pomeriggio con un’artista e un musicista che ha dato molto alla musica, anche da un punto di vista umano e sociale. Di quell’incontro, oltre le parole scritte di quest’intervista, resta la sensazione, forte di aver conosciuto una parte importante della musica del Novecento, per le sua arte e la sua concezione della musica come luogo libero in cui conoscersi, e a volte ritrovarsi.

Youssou N’Dour è senza dubbio il musicista africano più conosciuto dal pubblico del rock, grazie anche alle sue collaborazioni con personaggi come Peter Gabriel, Paul Simon, Sting e Neneh Cherry. La sua musica mescola ritmi africani, caraibici e pop, alla ricerca della perfetta unione tra le radici della sua terra e il panorama contemporaneo, spaziando dall’utilizzo della lingua inglese a quella francese, ma non rinunciando all’espressività del Wolof, la lingua nazionale senegalese. Nella seconda metà degli anni Ottanta è stato tra i protagonisti principali della nascita della World Music, e da sempre concepisce il suo impegno artistico anche come impegno sociale.

Tanta gente ama la tua musica, e tantissimi sono i senegalesi, anche in Italia, che ti seguono dall’inizio della tua carriera, conservando con cura la tua musica nei lunghi e difficili viaggi…
La prima cosa che cerco di fare è dare la mia musica alla gente. Penso che questo sia importante, perché sono un musicista, e dietro la musica c’è sempre un messaggio importante, da diffondere, in Senegal, come al di fuori di esso. Quando parlo di argomenti come l’immigrazione, nelle interviste, quello che dico sempre è che le persone che vengono qui dal Senegal. come da ogni altra parte del mondo, lo fanno per prima cosa per sostenere le proprie famiglie. Essi affrontano e sopportano le condizioni più dure per mandare i soldi laggiù, per creare delle opportunità per le loro famiglie, e le famiglie ne trovano aiuto e beneficio.

Il tuo impegno diretto a sostegno degli immigrati così come dei bambini vittime della fame e delle guerre, ti ha portato a collaborare anche con istituzioni, la Fao per esempio, credi che queste istituzioni possano realmente essere d’aiuto, pur essendo di fatto parte del sistema?
Penso che entrambe le cose siano importanti, sia l’impegno diretto con gli immigrati che le organizzazioni internazionali a loro sostegno, perché anche queste ultime svolgono un ruolo di amplificazione dei messaggi. Allo stesso tempo resta fondamentale l’impegno diretto, ho anch’io creato una fondazione che si occupa direttamente delle persone, e stiamo cercando di farla crescere e lavorare sul campo per incidere nella realtà.

Quali  sono stati alcuni momenti di svolta nella tua carriera? Le collaborazioni internazionali, la diffusione della World Music…
Nelle collaborazioni con altri artisti ci sono molte cose che dai e ricevi, nello scambio c’è l’opportunità di imparare molto. Nella mia esperienza ricordo in particolare l’incontro con Peter Gabriel, sono rimasto colpito dalla potenza della sua musica, del suo sound, il suo modo di fare le cose, dalla sua capacità di dare emozioni. La cosa importante è stata che attraverso questi grandi nomi sono stato presentato al mondo occidentale ed ho avuto modo di far conoscere anche lì la mia musica, e farla considerare, apprezzare e diffondere. Allo stesso modo tanti artisti di molti paesi del mondo sono noti in Africa attraverso me, ovviamente è stato un grande onore ed è sempre un piacere collaborare con questi grandi artisti per un progetto comune.

La World Music riesce ancora a conservare quello spirito originario di scambio e contaminazione su cui si è basata all’inizio?
Sono moltissimi ora a riconoscersi nella “World Music”, contaminando il pop con il rock e il folk, attraverso sonorità provenienti da culture e tradizioni differenti dell’Asia come dell’Africa ecc.. Penso che sia un modo per specificare che tu hai la tua musica, le tue radici, ma puoi incontrare gente differente, che fa le cose in modo diverso, senza copiare, ma prendendo qualcosa delle culture diverse dalla tua, così come gli altri prendono qualcosa da te e si crea della musica completamente nuova. Mi rendo conto che ascoltando la musica, la “world music” che abbiamo creato dagli anni 80 in poi non parliamo di un singolo successo, ma di una continua contaminazione che io penso funzioni davvero bene.

Quindi, come dicevi anche prima, la musica può avere la capacità di “portare” messaggi?
Credo che la musica stia iniziando e possa portare dei messaggi, quello per cui credo bisogna lavorare ancora molto è la diversità della musica, non importa da dove venga la musica, la diversità è un arricchimento. Penso che la musica è il canale attraverso cui farlo, pura e semplice musica. La musica è il messaggio più forte e importante per me.

Ernesto Razzano7 Posts

Nato a Benevento nel 1971, ha vissuto per molti anni a Firenze, dove si è laureato in Scienze Politiche/Storia. Dopo qualche anno a Bologna ritorna a vivere a Benevento, dove insieme ai suoi soci crea il Morgana Music Club. Giornalista pubblicista scrive di musica, cinema e libri per le pagine culturali di alcuni periodici. Ha scritto e pubblicato alcuni racconti. E’ stato ideatore e curatore di programmi radio. Da qualche anno collabora stabilmente con la rivista molisana Il Bene Comune.

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