Il Matese in verticale, i fianchi, e in orizzontale, i pianori

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Salendo di quota il paesaggio cambia passando dagli erti versanti coperti da boschi alle distese pianeggianti erbose. Più su vi sono le cime rocciose.

Si sta ragionando sulla perimetrazione del Parco Nazionale del Matese, ma una cosa è certa ed è che esso dovrà includere la fascia propriamente montana del massiccio. Si può discutere quanto si vuole (non troppo a lungo, però!) sull’estensione dell’area protetta a valle rimanendo fermo, comunque, che è obbligatorio ricomprendere nei suoi confini la montagna per intero. Vediamo adesso, al fine di giustificare questa affermazione, le qualità ambientali di tale ambito di maggiore interesse. Una peculiarità di questo rilievo montuoso è il suo carsismo.

Vi sono numerosi inghiottitoi, tra i quali uno ammirato dai turisti sta proprio nel pianoro di Campitello, e grotte, dal Pozzo della Neve alla Grotta delle Ciaole (cornacchie) a quella del Fumo. La natura carsica di questo monte non è solo una questione di emergenze geomorfologiche, le cavità verticali ed orizzontali di cui si è detto, peraltro a volte spettacolari come nel caso del varco arcuato di Campo dell’Arco, ma condiziona il paesaggio matesino alle alte quote. Le doline, manifestazioni della carsicità, sono delle conche, più o meno grandi, dove insieme agli altopiani, si cita quello di Campitelli di Sepino, si pratica il pascolo e l’allevamento dei bovini è un po’ il distintivo di questo comprensorio.

Sono vacche da latte il quale rimanda ai rinomati latticini di Boiano e, specialmente, al caciocavallo, chiamato così perché stagiona a coppie. La loro forma concava le distingue dalle radure nei boschi che si trovano pure altrove, con l quali ad ogni modo, hanno in comune l’essere circondate, in diversi lati, da alberi; questi si distinguono dalla massa boschiva retrostante e si presentano isolati, nonostante siano in contatto l’uno con l’altro, quasi a voler esibire la loro maestosità trattandosi di esemplari di faggio di consistenti dimensioni.

È raro che vengano tagliati nelle periodiche ceduazioni per cui costituiscono degli autentici patriarchi vegetali, come si può riscontrare ai margini di Campitello di Roccamandolfi. Tutto quanto scritto finora è valido se lo si circoscrive al limite altitudinale delle specie arboree che nel Matese non supera i 1.700 metri sul livello del mare poiché le doline che ne stanno al di sopra, prendi il Campo delle Ortiche, sono prive di vegetazione al contorno. Ogni, pressoché, piana della montagna matesina ha un proprio nome (Campitelletto, Pianellone, Cul di Bove, ecc.) a dimostrazione dell’intensa frequentazione antropica nel passato la quale si giustifica la necessità dei pastori di dover identificare i diversi luoghi per orientarsi; tra i toponimi vi è anche Campo dell’Orso, animale ormai scomparso da queste parti del quale però si dovrebbe favorire il ritorno, favorire cioè l’estensione del suo areale, ristretto com’è oggi al contiguo Parco Nazionale d’Abruzzo, per favorire, ancora, la sua sopravvivenza.

La geologia condiziona l’immagine dell’insieme montuoso non solo in sommità, bensì pure nei fianchi i quali sono connotati a tratti da profonde incisioni fluviali, da quella del torrente Valle (Guardiaregia)a quella del Quirino (Campochiaro) a quella del Rava delle Cappelle (Monteroduni) a quella del Callora. Tale specie di canyon è il frutto di un’intensa attività tettonica la quale ha contribuito alla forte sismicità del territorio che è Zona Sismica 1; una curiosità a questo proposito, quello dei sommovimenti tellurici di cui non si conosce ancora con sicurezza la causa, è che secondo le cronache del tempo giorni prima del catastrofico terremoto del 26 luglio 1805 si erano uditi tonfi provenire dal sottosuolo del Matese, che ne fu l’epicentro, che già allora si sapeva cavo.

All’interno di questo monte vi sono enormi riserve idriche le scaturigini delle quali danno origine al Biferno; esso è il principale fiume del Molise che con il suo percorso rettilineo tiene uniti l’Appennino e la costa, idealmente il Matese con l’Adriatico, legame che si andrà rafforzando con l’Acquedotto Molisano Centrale che dalla sorgente sta per portare l’acqua nei comuni litoranei. Acqua, quella matesina, che compare, nell’asta fluviale, e scompare, nascosta nelle viscere della terra, cosa che accade anche nel Lago del Matese, uno specchio lacustre che non possiede né immissari né emissari, un’altra manifestazione del carsismo, bacino idrico soggetto ad oscillazioni del suo livello d’invaso.

Un ulteriore, non secondario (pur interessando un punto semplicemente del rilievo, la cima di m. Miletto la quale per la sua altezza è ben visibile da lontano, dalla vallata sottostante e oltre) elemento capace di condizionare l’aspetto paesaggistico è il circo glaciale. Il ghiacciaio dell’era, appunto, glaciale ha impresso un’impronta non cancellabile sul territorio e poi si è disciolto, senza prima essere scivolato più a valle e la sua corsa essersi arrestata nel piano di Campitello. Ciò che rimane visibile è la zona di accumulo della neve ghiacciata che è l’“anfiteatro” mentre non rimangono tracce sul terreno della sua lingua.

Costituito da massa nevosa esso è destinato a scomparire all’aumentare della temperatura del pianeta lasciando unicamente il suo, per così dire, calco; non vi è altro fatto geografico che abbia simile volatilità. La posizione che occupa il circo glaciale ci indica quale doveva essere in una fase antica dell’evoluzione terrestre il limite delle nevi perenni. Esso è, nello stesso tempo, un monito sui cambiamenti climatici, tenendo presente, beninteso, che i ghiacciai sono le strutture della Terra che soffrono maggiormente il calore. La seggiovia, denominata Anfiteatro, che trasporta durante l’estate i visitatori in alto dalla località sciistica, qualora alla stazione di smonto fossero collocati pannelli illustrativi di questo singolare episodio geomorfologico, potrebbe rivelarsi davvero utile per favorire l’avvicinamento delle persone alla comprensione di tale fenomeno. 1671-22/10/2019 → ilbenecomuneweb

Francesco Manfredi Selvaggi579 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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