Esplorazioni in grotta a Campobasso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il sottosuolo del borgo intramurari è pieno di cavità, alcune non ancora conosciute. Esse vengono sfruttate come cantine, rimesse e alcune volte, le più grandi, come ristoranti o pub.
Le cavità che caratterizzano il sottosuolo del centro storico di Campobasso hanno una spiccata peculiarità che è quella che il loro ingresso è sempre all’interno di palazzi. Ciò porta a farle rientrare come pertinenza delle abitazioni soprastanti, alla stregua di fondaci o di cantine se non fosse che le loro dimensioni risultano sproporzionate per usi, diciamo, domestici. Sembra più appropriata la destinazione che è stata loro, ad alcune di loro, attribuita in anni recenti di ristorantino tipico o di pub. In qualche caso, quando queste grotte si sviluppano, oltre che in orizzontale, in verticale con più livelli, le attività ristorative e ricreative possono accogliere la clientela in spazi posti a quote differenti.
Non è opportuno aprire esercizi di tale genere quando per accedervi occorre passare per il portone principale, quello che conduce alle residenze; è preferibile che essi abbiano un accesso autonomo e così avviene sfruttando l’apertura connessa ad un vecchio locale commerciale o artigianale che così funge da hall. Si è detto all’inizio che una singolarità significativa di queste, per così dire (termine comunque non casuale) caverne è l’essere in una struttura architettonica, almeno il passaggio per penetrarvi: l’immagine classica che ci portiamo dentro di caverna è quella di un “buco” nel fronte di una parete rocciosa e qui non è così anche perché le nostre cavità non emergono dal sottosuolo, confinate figurativamente, nelle viscere del borgo medioevale e, perciò, non sono caverne.
Tanto sono uniche che si possono descrivere solo per contrapposizione con altre cose, le caverne appunto, facendo difficoltà a trovare un nome specifico. Le cavità, per lo meno quelle conosciute, stanno tutte nella parte bassa del nucleo originario del capoluogo regionale. All’esterno del suo perimetro che ricalca la cinta muraria che non c’è più vi sono due grandi vuoti sotterranei: l’uno sono le cisterne d’acqua nel cortile del Distretto Militare e l’altro il rifugio antiaereo di piazza Cuoco capace di contenere centinaia di persone che vi si nascondevano durante le operazioni belliche del II conflitto mondiale.
Per quanto riguarda i predetti serbatoi idrici essi non sono raggiungibili con le scale, come avviene per ogni altra cavità campobassana e per la loro esplorazione, perciò, sono stati necessari gli speleologi. Non si è ancora sviluppata da noi la speleologia urbana, è un inciso doveroso, per cui rimane un mistero dove deve condurre quel camminamento sotterraneo di cui parla lo storico Alfonso Perrella quale via di fuga dal castello dei feudatari. Certo, è immaginifico anche se, poi, non tanto. Rimanendo al Medioevo tracce consistenti di quell’epoca sono le sostruzioni delle murazioni, le fondazioni, visibili in un locale notturno di via Marconi, riconoscibili perché artefatti antropici piuttosto che grotte naturali.
Questi manufatti sono connessi fra loro, nel tratto che è consentito vedere, a differenza delle altre cavità le quali non sono intercomunicanti; nessun passaggio segreto, dunque. A rete o isolate che siano le cavità di questa città non sono ancora state oggetto di una ricognizione completa. Non vi è una mappa né è stato avviato il catasto delle grotte. Quello che si sa con certezza è che esse sono quasi sempre profonde e ciò impedisce che la musica rock pur ad alto volume possa creare disturbo agli abitanti della zona i quali invece sono infastiditi per gli schiamazzi e i rifiuti della movida. La distanza tra la volta delle gotte e la superficie stradale è tale che esse non possono diventare alloggiamento per i sottoservizi urbani.
Inoltre tale spessore roccioso che separa la viabilità cittadina e i vuoti presenti sottoterra rassicura circa il pericolo di voragini che possano aprirsi nella sede viaria ed il rischio di collo dei volumi edificati. Andrebbe approfondito, di certo, il tema della risonanza sismica in corrispondenza delle cavità le quali non sembrano essere state soggette a scuotimenti da parte dei terremoti che hanno colpito di frequente questa zona del Molise, tali da determinarne l’instabilità. Seppure l’uomo nei secoli ha effettuato adattamenti delle grotte, magari realizzando dei gradini nella roccia, regolarizzando il lato intradosso fino a fargli assumere l’aspetto di una volta costruita, realizzando degli arconi che hanno valenza sia architettonica, soprattutto, sia di sostegno dell’ammasso roccioso, spianandone la base per renderla comodamente calpestabile, esse sono essenzialmente opere della natura. Si potrebbe pensare, così come è avvenuto a Napoli, che il nostro centro sia venuto su sottraendo sotto e costruendo sopra; in effetti i materiali da costruzione è più conveniente prelevarli in sito.
Si preferisce a tale ipotesi quella che le pietre siano state trasportate dalla cava situata sul versante opposto della Collina Monforte e in questo caso avremmo un “fronte”, l’agglomerato insediativo, e un “retro”, il luogo di estrazione dei blocchi lapidei utilizzati per edificare le case. È più probabile che le cavità non siano servite quali “miniera” da cui ricavare materia prima per l’edilizia, bensì come siti in cui rovesciare gli sterri, i residui di lavorazione, le macerie in genere. Per comprendere meglio cosa rende distinguibili le cavità di Campobasso è opportuno compararle con quelle presenti in altri due insediamenti dove le grotte sono situiate in vicinanza dell’aggregato edilizio e non al suo interno; in tali comuni esse fungono da stallette o da rimesse agricole. In queste località si sono promosse iniziative per la valorizzazione con l’apposizione di segnaletica turistica a Macchia Valfortore e con, da tanti anni, l’allestimento di un presepe vivente a Montenero di Bisaccia. Il Comune di Campobasso si è sempre astenuto dal “governare” tale settore della città concentrandosi sul “pieno”, l’edificato, e tralasciando il “vuoto”, il sottosuolo, che invece merita attenzione.
Francesco Manfredi Selvaggi627 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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