Sicuri

di Roberto De Lena

l virus, il velo. Il virus ha squarciato il velo della propaganda e della retorica, mostrandoci le cose nella loro cruda realtà. Governi di ogni colore ci hanno ripetuto da un trentennio a questa parte che la sicurezza pubblica consisteva nell’escludere il migrante, il povero, gli oppositori politici. Decenni di politiche securitarie ci hanno inculcato nella testa che il nostro benessere dipendesse inesorabilmente da quanti muri saremmo riusciti a costruire per tenere fuori coloro che lo assediavano: muri normativi e muri fatti di cemento e filo spinato, di blocchi navali. Migliaia e migliaia di vite sacrificate, in nome della sicurezza. Sindaci eletti in nome della politiche del decoro, ministri che chiedono pieni poteri in nome della difesa della patria. La sicurezza come feticcio: urlato, sbandierato, propagandato.

Quante migliaia di persone, vite in carne e ossa, abbiamo rinchiuso nei lager libici in nome della sicurezza? E quante ne abbiamo buttate per strada in Italia, condannandole allo sfruttamento e alla miseria? Alla perdita della dignità? Quante, in nome della sicurezza, ne teniamo richiuse nella carceri e nei centri per il rimpatrio? Quante persone, donne, uomini, bambini abbiamo umiliato, offeso, ignorato? E ancora: quante ne costringiamo dentro fabbriche inutili e dannose? Le politiche di tolleranza zero, funzionali alla società liberista, producono solo più insicurezza ed esclusione sociale. Per tutti. Ora dovrebbe essere chiaro. Dovrebbe …

Il virus può squarciare il velo dell’ipocrisia della maggioranza: costringe ogni persona, che quelle politiche ha sostenuto, a vedere quante altre sono state lasciate indietro. Costringe gli odiatori da tastiera, e gli odiatori di professione, a confrontarsi con una semplice questione: siamo davvero più sicuri, adesso? Adesso che un piccolo virus mette a repentaglio la vita di migliaia e migliaia di persone, molti nostri concittadini, a cosa è servito sfogare la propria frustrazione verso i meno garantiti? Accanirsi su poveri, stranieri, tossicodipendenti, detenuti, giovani fannulloni? Centinaia di ore di televisione e social media (e altrettante migliaia di euro) spese a costruire il nemico per guadagnare consenso. Lo vedete che il vostro velo ideologico si è squarciato?

La sicurezza o è sicurezza sociale o non è: o è universale, di tutti e per tutti, o non è sicurezza. Ci sentiremmo più sicuri, in questa emergenza, se avessimo una sanità pubblica e ben organizzata. Se avessimo case popolari e politiche volte a garantire il diritto all’abitare, ad una città prima di tutto sociale. Ci sentiremmo più sicuri se i diritti del lavoro fossero garantiti, se avessimo costruito una società orientata alla cura. Ci sentiremmo più sicuri se il reddito fosse di base e universale, senza ricatti, senza esclusione di alcune fasce di popolazione come avviene oggi. Ci sentiremmo più sicuri se avessimo costruito economie locali, circolari, volte a tutelare ecologicamente il territorio, a costruire comunità e non profitto. Se alle dichiarazioni di emergenza climatica seguissero politiche volte a qualificare le nostre città in chiave sostenibile. Ci sentiremmo più sicuri se non fossimo costretti ad emigrare per un lavoretto, ad abbandonare i nostri territori perché divenuti invivibili. Se potessimo dedicare tempo e spazi alla cultura, alla cura, alla solidarietà. Se avessimo un sistema di informazione critico, autonomo, indipendente, affidabile.

Abbiamo invece alzato muri, costruito gabbie, sbarrato le porte con legni pesanti. Con il risultato di ritrovarci, ora, noi stessi ingabbiati. Soli, impauriti, smarriti. Facili prede di chi vuole continuare a dividerci e sottometterci. Una sola domanda: ora vi sentite più sicuri?

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