L’eterno conflitto fra religione e stato di natura

Riceviamo e pubblichiamo da William Mussini 

 

di William Mussini

La fede potrebbe sembrare coraggio, ostinazione e saggezza, può essere giusta se vive in colui che è tanto avvinghiato ad essa da non abiurare mai, anche a costo di morire. Mi tornano alla memoria Abramo ed Angeluccio, i due Giudei che scelsero la morte da ebrei piuttosto che da cristiani. Il confortorio che tentò di convertire il loro credo, s’imbatté contro la forza, l’energia d’un delirio di fede che non conosceva ostacoli. I frati, i clerici che tentarono di ammaestrare i due condannati, furono puntualmente respinti ed oltraggiati da due sparute anime incatenate.

L’unico rifugio dei due fu il rifiuto ostinato, la volontà d’essere posta a scudo, contro la volontà esterna di farli cambiare. Fu imposto loro il crocifisso, fu detto loro di amare il Cristo, di lodarlo, di accettarlo come unico Dio; loro scelsero la morte sulle forche di piazza Ponte S. Angelo in Roma, dove diverse centinaia di popolani (feste, farina e forca) s’ammassarono per vederli spirare. Morirono da infedeli? Quale giudizio supremo potrà assolvere o condannare la volontà e la forza di una mente libera? Quale Dio potrà giudicare la fede di uomini diversi e ribelli? Il Cristo si è sacrificato per la salvezza dei suoi fedeli, nel suo nome molti sono stati salvati, molti altri sono stati ammazzati, imprigionati, privati della loro identità di liberi pensanti.

Ogni religione, ogni menzogna deve fare i conti con l’ostinazione bieca di fedeli sciocchi e dignitosi. “Orate fratres”: si diceva fra quelle mura. Ma un blasfemo imprigionato nelle carceri del convitto urlava la sua rabbia incatenato a testa in giù: “Alzate le gonnelle ai preti! Liberateli d’un sol colpo dal peccato originale!”

L’oltraggio alla libertà di persone diverse ed originali, in una società strutturata secondo la visione hobbesiana, si perpetua nei secoli assumendo caratteri più o meno palesi; lo si può ricordare come imposizione coercitiva e violenta, come flagellazione corporale, oppure rivisitarlo nelle sue forme più subdole e raffinate, nel caso in cui esso, ad esempio, diviene l’arma intellettuale o religiosa che ferisce lentamente, celata nel conformismo, da enunciati dogmatici colmi di ipocrisia e prepotenza. La prima forma di coercizione che subisce l’uomo nato in una società che si definisce cattolica, se vogliamo, è il battesimo.

I sacramenti che seguono, eucarestia, cresima, matrimonio, siamo sicuri di accettarli in piena libertà? E se avessimo conosciuto e apprezzato una religione diversa da quella cristiana, cosa avremmo scelto? In che tipo di Divinità avremmo creduto? Quali funzioni celebrato, quali preghiere proferito?

Abbandonati nell’indulgenza plenaria, come fossimo schiavi liberi, siamo stati condotti verso luoghi e situazioni, adagiati sulla nostra presunta volontà di scelta, abbiamo creduto di essere dei veri credenti, dei cattolici, dei religiosi. Abbiamo dimenticato di essere degli uomini, prima di ogni cosa, ancor prima d’essere fratelli, figli, padri, noi siamo gli uomini che nascono in virtù di sopravvivenze antiche quanto l’universo stesso.

Se proprio avvertite il bisogno di credere in qualcosa, credete nell’uomo e nella coscienza che lo anima. Bisognerebbe domandarsi sempre il perché delle cose e non avere mai la presunzione di dare una risposta precisa. L’unica libertà dell’uomo è proprio questa, la capacità di non credere a niente, la capacità di scegliere fra l’essere e il non essere. Sembra una follia lo so, ma nelle vene di noi uomini scorre la relatività che ha cementato l’intero cosmo, e si può scegliere di vivere e non vivere nell’incognita perpetua, siamo la domanda che non prevede alcuna risposta!

Interpretare vuol dire raccogliere tutti i pezzetti della propria cultura, della propria sensibilità ed immaginazione, per cercare di avvicinare o di costruire un qualcosa di simile o dissimile a ciò che si è letto o ascoltato. Interpretare, in ogni caso, vuol dire sbagliare. Se provassimo a trasformare il nostro pensiero in qualcosa di simile ad un ruscello d’acqua, arriveremo tutti, prima o poi alla medesima conclusione, il mare.

Utopia che non costruisce argini, incertezza che non logora ciottoli, ignoranza che cementa barriere e dighe; queste ed altro le nemiche acerrime della comunione delle idee. Gli uomini nel loro primordiale “stato naturale” sono divenuti progressivamente animali sociali per necessità, ma la loro natura arcaica non vive in simbiosi con l’energia utilitaristica che crea associazioni, collettività, popoli.

Secondo John Loke, a differenza di Hobbes, lo stato di natura è quello stato di perfetta libertà e uguaglianza che regna tra creature «della stessa specie e grado». Lo stato di natura, secondo la visione del filosofo britannico, è quindi un contesto in cui non è presente alcuna forma di subordinazione o soggezione dell’uomo sull’uomo, e dove non è quindi presente nessuna forma di governo o di religione. Ciò che differenzia il vivere in società civile (political society) dal vivere nello stato di natura è infatti l’esistenza di un governo, ovvero di un potere superiore a quello dei singoli che permetta la risoluzione delle controversie. Lo stato di natura lockiano non è però una realtà di mera anarchia, bensì una condizione in cui vige una sola legge, la legge di natura, la quale previene ogni abuso. L’uomo è, per Locke, una creatura sociale e razionale, tale indole lo spinge verso la ricerca volontaria della pace, ovvero di una condizione in cui sia possibile vivere congiuntamente e ottenere vantaggi, una realtà in cui preservare sé stessi e l’umanità tutta.

Il nostro modo di comunicare si basa costantemente sul confronto, questo perché siamo alla continua ricerca di noi stessi, affondiamo le nostre escrescenze intellettive nelle carni del nostro prossimo, speranzosi di trovare un punto fermo, una luce che rischiari le ombre che ci abitano dentro. Non ci troveremo mai,  fin quando continueremo ad ignorare l’aseità che ci contraddistingue, se ci lasceremo toccare e violare dalla nostra ed altrui inquietudine, non capiremo mai che l’universo della nostra essenza è onnicomprensivo, è il tutto ed il niente allo stesso tempo, è un’espressione indecifrabile dell’infinito. I rivoli, i torrenti, i fiumi, le acque che scorrono verso. Le nostre domande che sfociano in un mare apparentemente scontato dove le idee si mescolano, si confondono, cambiano e si dimenticano. Un pensiero evapora dal cosmo, sale sino alle vette della ragione e discende a gocce alimentando la sua origine, la nostra ciclica coscienza.

Quanto tempo ancora occorrerà all’uomo per arrivare a capire che l’intelligenza della coscienza è l’unica ed infinita contraddizione che rende mortali? Gli Dei posseggono soltanto coscienza, non avvertono il bisogno di domandarsi il perché delle cose, essi sono eterni ed onniscienti per questo.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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