Il Matese, un parco appenninico

di Francesco Manfredi-Selvaggi

I parchi appenninici sono intrinsecamente diversi da quelli alpini, non solo per l’altitudine che raggiungono le vette, ma soprattutto per la forte umanizzazione dei territori in essi ricompresi. Forse la legge nazionale sulle aree protette andrebbe riformulata per tener conto di tale diversità. 

Ben diversi sono i parchi appenninici da quelli alpini perché all’interno delle aree protette dell’Appennino oltre alle bellezze naturalistiche vi sono pure quelle storico-artistiche e antropologiche. Ciò ne fa degli unicum, in verità un solo grande unicum anche a livello continentale, neanche i parchi pirenaici hanno questa duplicità di valenze, e, addirittura, a scala internazionale. Non è tanto che gli abitati sono in quota, quanto piuttosto che le quote raggiunte dai monti non sono così elevate da renderle escluse dalla frequentazione umana; i segni dell’uomo, prendi le croci e le casette pastorali, sono presenti pure alle altitudini superiori, cosa che non succede sulle Alpi dove la parte sommitale dei rilievi è il regno assoluto della naturalità.

L’Appennino rappresenta maggiormente che la catena alpina l’Italia il cui paesaggio è celebrato universalmente per la fusione tra emergenze naturali e beni architettonici, a cominciare dai borghi tradizionali. In sole due parole è la commistione fra natura e cultura. La lunga cordigliera appenninica che man mano sta diventando un unico parco lineare, mancava proprio il Matese, è il filo conduttore per la lettura della struttura paesaggistica della Penisola, il filo che tiene insieme lo Stivale poiché ne segue, peraltro nella sua fascia mediana, pedissequamente il suo sviluppo, l’elemento unificante del territorio italiano, in qualche modo il cuore del nostro Paese.

Dunque, salvaguardare l’Appennino significa salvaguardare l’anima della Nazione, la sua stessa identità non solo fisiografica, ma pure naturale. A queste specificità dei parchi appenninici che ne fanno la loro pregevolezza se ne aggiungono altre che, al contrario, rappresentano pericoli per la loro integrità. Tra le minacce vi è in primo luogo il terremoto. È un rischio grave specie per i parchi dell’Appennino centrale, compreso il Matese che è al suo limite inferiore se si considera la Sella di Vinchiaturo il confine con l’Appennino meridionale.

Eventi tellurici particolarmente devastanti furono, in ordine temporale, quello del 26 luglio 1805 che colpì, appunto, il comprensorio matesino, quello della Marsica che si aggiunse quale preoccupazione per la popolazione allo scoppio della I Guerra Mondiale il quale interessò Pescasseroli, paese d’origine della famiglia di Benedetto Croce cui si deve l’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, fino a quelli recentissimi di Amatrice, nel Parco del Gran Sasso, e di Norcia, nel Parco dei Sibillini. Un ulteriore problema per i parchi in ambito appenninico, proprio per la loro caratteristica saliente di ricomprendere nella perimetrazione molti abitati, in proporzione alla dimensione di più che nei parchi alpini, è quello della nevosità che in passato costringeva all’isolamento intere comunità montane, e, pertanto, seppure inferiore a quella delle Alpi la neve provoca, sempre in proporzione, più disagi.

Vi è poi la questione del dissesto idrogeologico con le frane, non le alluvioni in quanto siamo su terreni in pendenza, che costituiscono un autentico flagello nel Centro-Sud non risparmiando neanche i versanti appenninici. È da rilevare che i fenomeni franosi riguardano, in genere, le aree rurali e gli effetti del sisma sono più sensibili nelle aree urbane. Quando si parla di parchi, chissà perché, si cade invariabilmente, lo abbiamo fatto pure noi fino a questo momento, nel parlare delle problematiche relative che li investono, assecondando pregiudizi per fortuna meno diffusi di un tempo, e non di opportunità, cosa che faremo ora, per rimediare un po’.

Secondo Giambattista Vico i problemi si trasformarono in opportunità e ciò è assai calzante rispetto ai temi posti, quelli del sisma e dello scoscendimento del suolo. Nei parchi appenninici notevoli potenzialità lavorative sono legate alla messa in sicurezza degli aggregati edilizi, i centri storici sono parte integrante di questa tipologia di parchi, e il consolidamento dei terreni instabili, ambedue operazioni necessarie al fine di garantire l’elevata qualità di questi territori, significative l’una per il pregio dei nuclei abitativi che sono di antichissima data, l’altra per le elevate valenze paesaggistiche dei circondari a qualunque curva di livello situati, compresi nel parco.

Le occasioni di impiego che si potrebbero creare riguardano, va rimarcato, lavori estremamente qualificati tanto nell’edilizia, per l’adozione delle nuove e avanzate tecnologie antisismiche, quanto nella sistemazione delle superfici dissestate con tecniche di ingegneria naturalistica. Passando da ciò che distingue i parchi appenninici da quelli alpini, gli elementi fondamentali, passiamo a vedere ciò che li accomuna, gli elementi fondamentali. Più precisamente l’elemento fondamentale che è quello che i parchi sono posti “in serie” a formare una linea, la quale, grosso modo, è di lunghezza analoga.

Ogni tassello, con un’espressione differente, cioè ogni parco è significativo in sè e anche significativo quale porzione di un insieme. Detto questo, quindi ciò che hanno in comune, torniamo a sottolineare le distinzioni tra i due sistemi di parchi, nuovamente appenninici e alpini. Si lascia da parte la constatazione, perché poco incidente, che le Alpi sono sì una batteria di monti disposti in asse fra loro e, però, tale asse si presenta incurvato ai bordi, invece l’assialità degli Appennini tende decisamente alla rettilineità; il carattere precipuo dell’Appennino è che esso si sviluppa secondo la longitudine e non secondo la latitudine come fanno le Alpi e tale andamento influisce sulle caratteristiche ecosistemiche modificandosi le condizioni ambientali nello spostarsi da sud, pertanto dal cuore del Mediterraneo, a nord dove, al suo terminale, incontra la Pianura Padana, tutt’altro ambiente il quale è tipicamente continentale.

Meno marcata, di certo, è la differenza dal punto di vista innanzitutto del clima tra i due opposti capi delle Alpi, un fatto fondamentale dell’ecosistema. È più sensibile, conseguentemente, la diversità, ovvero la biodiversità, un valore fondamentale, tra i vari parchi dell’Appennino, la quale è in dipendenza della temperatura, ovvero delle caratteristiche climatiche, non fosse altro che per il limite altitudinale della vegetazione arborea che non è identica al settentrione e al meridione. Il Matese che è nel mezzo dell’Appennino lo si considera un momento di transizione all’interno di due delle tre ripartizioni (Appennino centrale e meridionale) in cui si suddivide questo lunghissimo allineamento di gruppi montuosi e da tale posizione geografica deriva la sua ricchezza sotto l’aspetto ecologico per salvaguardare la quale è necessario dare attuazione al più presto alla previsione normativa di creazione di un parco per il comprensorio matesino.

Francesco Manfredi Selvaggi578 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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