Pietanze rituali per la Tavola di san Giuseppe a Morrone del Sannio (U cәtillә)

di Vincenzo Lombardi

La preparazione di cibi rituali è estremamente diffusa, anche in Molise, soprattutto in occasione di alcune ricorrenze come quella di san Giuseppe.
Sono molto noti, oltre ai cerimoniali connessi al culto, i piatti preparati per le varie Tavole allestite in occasione della festa del Santo, ad esempio a Riccia, a Montorio, a Casacalenda, ed in altri comuni molisani (non è difficile recuperare un’ampia bibliografia).

Le pietanze, in genere 13, sono sempre di “magro” ed impiegano, oltre a pasta lievitata, generalmente fritta, vegetali (come legumi, cavolfiori, ecc) o pesce.
Il rituale è celebrato anche a Morrone del Sannio, dove sono in vita ancora alcuni dei cerimonali tradizionali: i fuochi, che restano accesi per tutta la notte ed il giorno successivo in vari punti del paese, il “rito della Sacra Famiglia”, simile ad altri di vari comuni molisani, con l’allestimento della tipica Tavola caratterizzata da una specifica “messa in scena” consistente in veri e propri apparati, ma arricchita anche da gesti, modalità relazionali o sonorità particolari.

Ad esempio, mentre a Montorio i commensali, ogni volta, prima di bere vino dalla tipica bottiglietta a due colli (non c’è acqua a tavola), devono pronunciare l’invocazione “Gesù e Maria”, a Morrone, dei due addetti a portare le pietanze, uno rimane sempre sull’uscio della stanza dove è allestita la Tavola, l’altro entra solo quando i commensali battono il cucchiaio sul piatto.
Anche a Morrone le portate rituali – secondo la tradizione trasmessa da Filomena a Cacchiefiellә (denominazione morronese di tutti coloro che sono arrivati in paese provenienti da Castellino sul Biferno) – consistono in fagioli, ceci, cicerchie, fave, verdura (rape), riso (bianco), pasta (maccheroni), baccalà rosso e fritto, sarde, funghi, asparagi, lumache, cәtillә, frittelle (scrәppellә), caragnole (nocche), arance (tagliate e condite con zucchero), pane, acqua e vino.

I maccheroni vengono ancora preparati in due diversi modi. Il primo è con lә ‘ndritә: in genere si tratta di bucatini lessati, conditi con mollica tostata con vin cotto, olio, noci tritate e sale; nel caso del secondo si tratta di maccheroni marititә (maritati): è pasta fatta in casa, spaghettini, cotta la mattina stessa della festa; viene lasciata in bianco ed è condita – ossia, viene maritata, come vuole il lessico culinario di adozione napoletana – con un pochino di acqua di cottura mista ad olio e cipolla soffritta; a volte potevano, e possono, essere mischiati anche dei legumi.
La devozionalità popolare prevede la recita di preghiere e giaculatorie prima del pranzo, durante (una per ogni portata) e in conclusione.

Dopo il pranzo, segue la tipica distribuzione alimentare: “a casa di ogni componente la Sacra Famiglia viene portato un cesto contenente i resti del pranzo raccolti in apposita ciotola, una pagnotta di pane di quattro chili, scrәppellә, e una vaschetta di cәtillә come prescritto dalla tradizione (http://www.morronedelsannio.com/san_giuseppe.htm).
Nell’elenco delle pietanze e in quello dei cibi oggetto di distribuzione alimentare tipica di Morrone del Sannio se ne legge uno singolare. Fra le preparazioni molisane tipiche della festa di san Giuseppe, forse è una di quelle meno o per nulla ricorrente e sicuramente poco conosciuta ma, per certo, molto particolare. Si tratta, per utilizzare la denominazione locale, de U Cәtillә (italianizzato il “Citillo”).

Di cosa si tratta? Come si prepara? Grazie all’intermediazione dell’amica Rosalba Mustillo, anche lei di Morrone del Sannio, alle domande ha dato risposta la signora Elisa Colasurdo che ha illustrato la preparazione e ha realizzato i video delle varie fasi della preparazione, secondo le procedure previste dalla tradizione di famiglia e quanto prescritto dalla ricetta tramandata dalla nonna, Maria Vincenza Colasurdo, detta Rәstillә, la quale, pur non allestendo la Tavola, preparava “U Cәtillә” e altre portate rituali tipiche della festa.

La Pastinaca

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Ingrediente base della preparazione del singolare “cibo rituale” è una pianta selvatica denominata “Pastinaca”.

Si narra che fu l’imperatore Tiberio a portare a Roma questa carota selvatica dalla Germania. Fu poi nel Medioveo che ebbe la sua massima diffusione, fino all’arrivo della patata, che fece perdere l’interesse verso la Pastinaca, fino a farla scomparire dalle tavole degli italiani (https://www.cookist.it/pastinaca/).
La Pastinaca era quindi diffusa nell’antica Roma; era tanto presente sulla tavola dei romani che gli stessi le diedero il nome di “pastum”; quindi, la carota selvatica era considerata un vero e proprio pasto (anche con proprietà afrodisiache). La Pastinaca è citata nel De re coquinaria (De arte coquinaria), il manuale di cucina più importante dell’epoca. Il suo autore, Marco Gavio Apicio, consigliava addirittura tre preparazioni a base di Pastinaca o carote, che venivano quindi trattate come un’unica radice: fritte da gustare con salsa di vino; condite con sale, olio e aceto; oppure tagliate a pezzi, lessate e insaporite con una salsa di olio e cumino (https://www.cookist.it/pastinaca/).

La Pastinaca viene anche citata nel Capitulare de villis vel curtis imperii, un atto capitolare carolingio della fine dell’VIII secolo emanato per disciplinare le attività rurali, agricole e commerciali delle aziende agricole dell’impero o ville. Nel capitolo 70 del capitolare vengono nominati 73 ortaggi e 16 alberi che Carlo Magno voleva fossero coltivati nelle sue terre, fra queste le varietà di Pastinaca.

 

La Pastinaca citata nel Capitulare de villis vel curtis imperii
Il manuale di cucina di Marco Gavio Apicio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il consumo rituale della Pastinaca è ancora presente in molte zone del sud Italia. Solo ad esempio, molto noto è quello che se ne fa nel Salento, dove si colloca all’interno di rituali della fertilità primaverile legati alla devozionalità per sant’Ippazio, per la Candelora e per san Biagio, rispettivamente, nei comuni di Tiggiano, di Specchia e Corsano. In Molise, in relazione al rituale per la festa di san Giuseppe a Montorio nei Frentani, Renato Cavallaro segnala la connessione di alcuni aspetti del cerimoniale per la Tavola con i rituali di san Biagio a San Martino in Pensilis (La pietra, la quercia e i cavalieri: S. Biagio tra folklore e mito, Roma, SEAM, 1996). Tornando alla Pastinaca, dalle fonti botaniche apprendiamo che è molto diffusa in Italia e che è una “pianta biennale, erbacea, dall’odore pungente, con radice a fittone, affusolata, giallo chiara, carnosa, che nel primo anno produce soltanto un ciuffo di foglie dal quale poi, nel secondo si sviluppa il fusto cavo, angoloso, scanalato, pubescente e ramificato in alto di 40÷120 cm” (https://www.accademiaerbecampagnole.eu/).

 

 

 

 

 

 

Inoltre, si tratta di una “specie commestibile officinale. Contiene olio essenziale, sostanze grasse, furocumarina, pectine, carboidrati, vitamina C. La Pastinaca sativa un tempo era usata nella medicina popolare come diuretico e digestivo […] è nota soprattutto per le proprietà alimentari delle sue radici, che oltre ad essere ricche di proteine, amidi e zuccheri, hanno un gradevole sapore simile a quello delle carote; la tradizione popolare ritiene la Pastinaca un cibo utile alle persone deboli, anziane o convalescenti. È un ottimo alimento dietetico, infatti 100 g di radice, corrispondono a 22 kcal e contengono 12 g di fibre.

Le estremità delle ramificazioni possono essere impiegate come spezia” (https://www.accademiaerbecampagnole.eu/).

 

 

La preparazione per il pasto rituale di san Giuseppe, nell’uso morronese, viene avviata almeno una o due settimane prima del consumo finale. Oltre alla radice della Pastinaca, raccolta nei campi, sono necessari altri ingredienti: farina, vino cotto e aceto.
La ricetta della signora Elisa Colasurdo, ai fini della preparazione prevede le seguenti operazioni e fasi:

(IMG 7)

• Si mettono a bagno per uno o due giorni le radici delle piante di Pastinaca, ciò al fine di ripulirle dai residui di terra; (IMG 7) (Video 1)
• si aprono le radici e si toglie il midollo legnoso che si trova al centro del fittone;
• le radici così preparate, si raschiano, asportando la pellicola esterna, lasciando la sola polpa; (IMG 8)
• si tagliano le radici in pezzi, della dimensione della quale li si ritiene giusti, e si mettono nuovamente a bagno nell’acqua per il tempo necessario;
• Dopo il tempo del bagno, le radici si asciugano ben bene e, poi, si lessano in acqua salata; (Video 2)
• Per la cottura ci si regola con l’assaggio, o con la forchetta (dalla facilità con la quale si infilzano le radici);

(IMG 8)

• A lessatura avvenuta, i pezzi di radice si scolano e si asciugano;
• Intanto, si è già preparata una pastella con farina e acqua, né troppo densa, né troppo liquida, che si è fatta riposare un po’ di tempo; si può aggiungere anche un pizzico di sale; (Video 3)
• Dopo aver panato i pezzi di radice con la pastella, si friggono in olio abbondante e bollente; (Video 4)
• Si prepara una miscela di mosto cotto e poco aceto (deve risultare agrodolce, e da qui, probabilmente, il nome della pietanza); (IMG 9)

(IMG 9)

• si mette a scaldare la miscela e quando è ben calda la si versa sulle radici panate e fritte, a cui si sono aggiunte, intanto, delle foglie di alloro; (Video 5)
• Il tutto si fa riposare il tempo giusto, una o anche due settimane; maggiore è il tempo di permanenza della Pastinaca impanata e fritta nella miscela di mosto cotto e aceto, maggiore sarà la prelibatezza della pietanza.
Il “Citillo”, così preparato da Elisa Colasurdo, secondo l’antica ricetta di nonna Maria Vincenza detta Rәstillә, viene servito, fra le altre portate previste per la Tavola imbandita in onore di san Giuseppe.

Ricetta per preparare la ‘Ntrita
(ricetta di nonna Maria Vincenza Colasurdo detta Rәstillә)
• 2 piatti pieni di mollica di pane
• Mezzo piatto di noci triturale
• Una manciata di scorze di arancia
• ¾ di bicchiere di vin cotto
• ¾ sempre dello stesso bicchiere di olio
• Una manciata di sale fino

Versare nella pentola di rame la mollica di pane, le noci, le scorze di arancia, l’olio e il vin cotto. Mettere sul fuoco e mescolare fino alla tostatura.

Video 1

Video 2

Video 3

Video 4

Video 5

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