Petescia, stay human, please. Again.

Again. Ci risiamo. Di nuovo, in reazione ad un articolo pubblicato ieri sul sito de Il Bene Comune, intitolato “La comunicazione ai tempi dello iorismo”, in cui non si è fatto altro che mettere in fila le argomentazioni dell’accusa, rivolte a personaggi pubblicamente riconoscibili, nell’ambito della maxi-inchiesta condotta dal procuratore D’Alterio, si è rimessa in moto, condotta dall’impareggiabile direttrice di Telemolise, la macchina del fango.

Ne avevamo parlato già in occasione di un altro attacco insensato subito qualche mese fa (nell’occasione pubblicammo un pezzo intitolato “Lo stile che unisce…”).
Lo scrivemmo allora e lo ripetiamo oggi: ci ripugna la prassi consistente nell’annichilire l’interlocutore con argomentazioni che nulla hanno a che vedere con il tema in oggetto. Invettive che puntano direttamente a colpire l’avversario gettando su di esso una serie di accuse, tutte infondate, facendo leva coscientemente sul fatto che un successivo eventuale chiarimento che scagioni la vittima, per incisivo che possa essere, non sarà mai sufficiente a scacciare nell’opinione pubblica le ombre e i sospetti. È sociologico. Ed è per questo che la cultura del sospetto non ha bisogno di scuole. Perché in essa non c’è nulla di analitico e di razionale. Nasce dalla cattiva coscienza e si diffonde ancora per mezzo della stessa. Non a caso, Manuela Petescia, nonostante sia direttrice di un telegiornale e di una testata on-line, ha preferito come canale delle sue invettive il social network piuttosto che un organo di stampa. Perché Facebook è uno strumento deregolamentato, ideale per una comunicazione “liberata” dalla deontologia giornalistica.

Lo diciamo chiaramente e una volta per tutte: se la dialettica deve svolgersi su questo terreno, fatto di calunnie, di insulti gratuiti, di menzogne – ma in generale, di invettive e congetture non verificate – noi non abbiamo alcuna intenzione di parteciparvi. Sia chiaro, potremmo farlo, sapremmo farlo e siamo sicuri, avendo dalla nostra la forza della ragione, di poterne uscire a testa alta, spazzando via in un solo colpo questa immondizia di falsità che la Petescia ha inteso pubblicare sulla sua bacheca virtuale, insieme, naturalmente, ai commenti dei suoi friends. Ma non possiamo farlo. Non possiamo per rispetto di noi stessi, dei valori che difendiamo e riproponiamo come collante di una comunità disgregata, ma soprattutto perché siamo giornalisti e vogliamo rimanere fedeli al compito alto e nobile che spetta a chi fa questo mestiere.

Perché da operatori della comunicazione sappiamo – e dovrebbero saperlo anche gli altri – che un confronto, a prescindere dall’argomento in questione, deve svolgersi sulla base di regole condivise, di cui la prima è il senso di responsabilità rispetto a quello che si scrive. Ogni espressione deve essere basata sull’oggettività dei fatti e non sulle supposizioni. O, semmai, in quest’ultimo caso, è bene che lo si dichiari a monte. Un giornalista che scrive su Facebook rimane sempre un giornalista. Il social network, in quanto strumento comunicativo di massa, non può funzionare come una zona franca nella quale dare sfogo alle proprie paure e al risentimento. Per queste ragioni, e, allo stesso tempo, poiché non possiamo permetterci, nel rispetto di chi ci segue, di far passare le infamie che ci sono state rivolte, proponiamo un incontro pubblico, magari nella modalità e nel luogo ove Manuela Petescia si sentisse più a suo agio e garantita, per esempio negli studi di Telemolise con la conduzione di minicozzi, fra il nostro direttore Antonio Ruggieri e Manuela Petescia, con il suo carico di fango. Qualora Telemolise poi non potesse ospitare il confronto, ci offriamo di ospitarlo noi, sempre in diretta, sul nostro canale YouTube. Dopodiché invitiamo tutti, nel caso in cui la direttrice dovesse sottrarsi, come ha già fatto nel recente passato, a trarne le logiche conseguenze…

Di seguito, l’appello del Direttore Antonio Ruggieri

Petescia,
Considerato che già in altre circostanze mi sono prodotto in approfondimenti nel merito ma che questa volta ella ha voluto dare il meglio di sé lasciandomi basito per la quantità e la qualità delle menzogne contenute nella nota intitolata “Da quali pulpiti vengono le prediche” pubblicata sul suo profilo (ma anche sul suo prospetto) Facebook, la invito ad un confronto pubblico durante il quale si possa chiarire, oltre a ogni altra cosa dovesse essere chiarita,
1. come e quando io avrei pregato lei (per che cosa diventa un dettaglio…);
2. quali sono “le carte” che ella “per bontà d’animo” non porta in Procura e che invece dovrebbe far pervenire all’autorità giudiziaria che deve indagare e colpire il malaffare;
3. quali sarebbero queste “testimonianze di litigi inenarrabili…”.
Resto in attesa di conoscere le modalità del confronto dal quale, Petescia, le assicuro, non ho nulla da temere e che per quello che mi riguarda può aver luogo anche su Telemolise, moderato dal suo fido Minicozzi, oppure, sul piccolo ma funzionale canale YouTube de il Bene Comune. Naturalmente in diretta.

Campobasso, 8 ottobre 2014
Antonio Ruggieri

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