Io campo basso

di Antonio Ruggieri

Fin da quando ero piccolo per la testa mi passano tanti progetti per concepire la vita (non solo la mia)…., eppure campo basso. Campo basso perché abito in una città in cui prendere il treno è una disperazione e i pullman ormai da 35 (trentacinque) anni si amministrano in un terminal che fa difetto dei marciapiedi per incamminarsi verso il centro a ridosso del quale si trova; quando fu concepito ed edificato però, tre decenni e mezzo fa, fu dotato di un enorme fabbricato, quadro e squadro, che avrebbe dovuto ospitare un bar, una regolamentare sala d’aspetto, addirittura una biblioteca e ogni altro servizio di conforto per i pendolari e per i viaggiatori occasionali.

Quello spazio, addirittura arredato di tutto punto, non è mai entrato in funzione; invece, al riparo di una pensilina ridondante, in faccia alle corriere che accostano al marciapiede senza sosta, è stato disposto un prefabbricato alla bell’e meglio con un baretto e l’edicola dei giornali affastellata, con le sedie e gli ombrelloni sul piazzaletto antistante.

Campo basso perché nella mia città non è possibile poggiare i piedi sull’erba, siamo condannati all’ergastolo della pietra o peggio ancora dell’asfalto; l’erba residua, rachitica e maltenuta, è recintata dentro aiuole sconquassate cedute ai privati, che le utilizzano per scopi promozionali, le allestiscono con un gusto e una sensibilità non sempre encomiabili, ma soprattutto sottratta a un controllo e a una valutazione pubblica di qualsiasi genere.

Eppure, a disposizione feconda e salutare della comunità, di ognuno dei cinquantamila circa che la compongono, ci sarebbe il parco archeologico e naturalistico di Monte Vairano, un pezzo di bosco percorso da sentieri brecciati e in terra battuta, con aree verdi attrezzate, corredato da strutture di conforto per l’ottima accoglienza dei visitatori.

Nel cuore del parco inoltre, l’Università del Molise, anche in collaborazione con con la Banca Popolare delle Province Molisane, ha portato alla luce i resti di una città sannita che ha rivoluzionato la concezione corrente dei nostri progenitori italici.

La gestione del parco sarebbe una bella, gratificante e qualificata opportunità di lavoro per almeno una ventina di nostri giovani, decorosamente sottratti al vilipendio del precariato o della disoccupazione. Inopinatamente e inspiegabilmente invece, il parco di Monte Vairano è chiuso da anni, esposto al danno del degrado e del vandalismo.

Io campo basso nel cuore del luogo che abito, fra l’ex Romagnoli, il distretto militare e la casa circondariale, un edificio esagonale e panottico terminato nel 1861, ormai platealmente inadeguato, per conformazione e localizzazione, ad ospitare gli essere umani che vi sono reclusi. Questi tre brani di città, raccolti in poche centinaia di metri, potrebbero costituire lo scenario progettuale per ripensare il centro cittadino in modo radicale.

Il vecchio campo sportivo costituisce l’area cruciale, di maggior valore del luogo dove campo basso, ma per incuria, per inadeguatezza e per insipienza, è stato ridotto a un parcheggio selvaggio e situazionista per la corona asfaltata che circonda il rettangolo di gioco, dato in concessione a una società sportiva che vi pratica il rugby. Con un’operazione in bilico fra il patetico e il surreale, dopo la visita di papa Francesco di cinque anni fa, quell’area brutta e degradata fu intitolata con improntitudine alla visita del pontefice.

Potrebbe invece essere trasformata in un parco nel cuore della città, collegato con un’ampia area verde a monte della biblioteca e del centro sportivo universitario e con la villa comunale de Capoa che la sovrasta. Del distretto che ospita ormai pochissimi militari, si potrebbe abbattere l’imponente muro di recinzione per riguadagnarlo, insieme alla sua piazza centrale, alla rigenerazione del centro urbano.

I locali a pian terreno, col beneficio dei portici che li proteggono, potrebbero ospitare attività commerciali e culturali che avrebbero sbocco nella piazza a disposizione della frequentazione dei cittadini, mentre quelli ai piani superiori potrebbero essere destinati a uffici di servizio e a sedi istituzionali. Un’iniziativa di questo tenore disporrebbe una teoria di collegamento fra la piazza del Municipio, la villa dei cannoni e la piazza del distretto, che darebbe nuovo impulso e vitalità al centro cittadino.

Campo basso per come è stata ridotta l’area dell’ex antitubercolare, in una zona ancora centrale e congestionata della città. In origine c’era uno splendido edificio razionalista di cui l’architetto Antonelli redasse il progetto preventivo, inserito in un parco/giardino arricchito da un boschetto di pini mediterranei maestosi. L’intero complesso è cintato da un magnifico muro alto oltre due metri, edificato con pietra viva sapientemente lavorata.

Nel corso del mandato a sindaco della città di Giuseppe Di Fabio (2004/2009) cominciano i lavori per l’edificazione del Centro di Salute Mentale situato, anziché a recupero funzionale dell’ex antitubercolare rimasto inutilizzato, nel parco/giardino della struttura, col sacrificio di alcuni alberi che insistevano nell’ingombro dell’edificio in gestazione da tempo e soprattutto dello spazio verde di pertinenza dell’ex antitubercolare.

Il Centro fu inaugurato nel 2011, sindaco Gino Di Bartolomeo che ha amministrato la città dal 2009 al 2014; il progetto però, a distanza di otto anni, non è stato ancora portato a compimento e quello che è stato edificato mostra i segni di un degrado sconfortante. Il piano terreno del fabbricato, destinato a garage e magazzini è rimasto grezzo, con i pilastri a vista, i solai del primo piano puntellati e con infiltrazioni d’acqua visibili, quando piove, da una enorme breccia aperta all’esordio del cantiere nell’imponente recinzione in pietra, per favorire l’agibilità dei mezzi di lavoro e chiusa malamente da allora; lasciata attualmente al ricovero dei gatti randagi del quartiere che si cibano degli avanzi depositati nella fila di cassonetti per l’immondizia posizionati senza decoro a pochi metri dall’ingresso del Centro di Salute Mentale.

Lo squarcio del muro non ha consentito la rifinitura asfaltata della strada e perciò sul suo margine in terra battuta cresce erba spontanea che accoglie copiosamente le deiezioni di cani al guinzaglio di padroni tanto amorevoli coi loro animali quanto incivili con sé stessi e col resto del corpo sociale, e le immondizie che vi si accumulano per l’annosa latitanza dell’azienda municipalizzata che dovrebbe provvedere. Un brano di città a ridosso del centro, fra via Garibaldi, via Tiberio, via Zuccarelli e via San Lorenzo, per incuria, incapacità, insipienza e lassismo delle Amministrazioni comunali che si sono avvicendate, è stato ridotto a qualcosa in bilico fra una discarica a cielo aperto e un parcheggio temporaneo. Con l’aggravante che questo contesto ospita il Centro per la Salute Mentale, il quale prevede il decoro come modalità fondamentale per il suo civilissimo e sofisticato funzionamento.

Io campo basso perché sul palazzo ristrutturato di proprietà regionale in via Milano che ospita l’Assessorato alla cultura campeggia una scritta cubitale con le lettere a rilievo che dice GIL, Gioventù Italiana del Littorio; grave e incomprensibile nel nostro Paese repubblicano e antifascista. Campo basso perché nel medesimo palazzo è ospitata la Fondazione Molise Cultura, un organismo di diritto privato ma in house della Regione (vuol dire che opera con criteri privatistici ma con spese totalmente a carico dell’ente pubblico), diventato un eventificio autoreferenziale, gestito a cura di un gruppetto individuato di operatori “ben inseriti”, agli ordini della parte politica al governo; qualunque sia.

L’organismo fagocita gran parte dei fondi destinati alla cultura e spesso si trova, sottratto a una mentalità di programmazione concertata e condivisa, in concorrenza con gli altri soggetti che operano culturalmente sul nostro territorio. È singolare che un ente che opera in favore della cultura regionale non preveda la partecipazione attiva dell’Università del Molise, del Conservatorio e almeno del Comune capoluogo che ospita il Teatro Savoia, l’infrastruttura culturale più importante della regione, e non la consenta in forme da stabilire ad associazioni che organizzano da decenni e decorosamente la nostra proposta culturale.

Campo basso perché un giardinetto aggraziato, a un lato del corso cittadino, di fronte alla Camera di commercio, dietro al monumento dei caduti, inspiegabilmente, è stato condannato all’abbandono dal servizio del verde pubblico, nonostante un decennio fa sia stato fatto oggetto di un dovizioso intervento di recupero. Campo basso per come è ridotto il monumento realizzato da Mario Serra con i ragazzi della cooperativa Laboratorio aperto; avrebbe avuto bisogno di interventi di recupero e di conservazione; adesso resta eretto, sventrato e rotto, ad accogliere malamente quelli che arrivano a Campobasso in treno e che si avviano a piedi verso il centro attraversando piazza Vincenzo Cuoco.

Campo basso però, soprattutto per come sia diventato difficile e avvilente curarsi nella terra mia.  Spendiamo per la Sanità l’80% dei fondi a nostra disposizione, eppure continuiamo ad accumulare debiti perché una politica trasversale e di infimo rango, negli ospedali pensa ad organizzare il suo consenso elettorale invece che la cura e la salute dei cittadini; ha favorito e continua a favorire le aziende private sottraendo risorse, cure, attenzioni e personale al sistema pubblico ormai al collasso.

La Sanità è il bene comune fondamentale di una comunità qualsiasi, ne qualifica inoppugnabilmente il dinamismo, la civiltà e la coesione; nel suo ambito d’esercizio non dovrebbe essere consentito fare profitto. Se un sistema di cura è gestito da un privato, il suo interesse sarà orientato a mantenere quanto più a lungo il suo utente in uno stato di bisogno e d’infermità perché da esso si alimenta e cresce la sua ricchezza; se invece lo stesso sistema di cura è gestito dallo Stato, sarà orientato a restituirgli la salute con immediatezza e a fare in modo che non ricada in malattia, affinché non pesi sulla finanza pubblica. Non è complicato da comprendere; è diventato però difficilissimo realizzare quello che si capisce con facilità, perché abbiamo gettato alle ortiche il nostro Spirito Pubblico e abbiamo addirittura perso memoria di averlo fatto.

Campo basso per come sono ridotti l’Ariston e prima il Modernissimo, perché villa de Capoa è frequentata poco e male, perché non si sostituiscono gli alberi che muoiono nei viali del centro e non si restaura una volta per tutte, adeguatamente, il monumento di Gino Marotta al centro della villa dei cannoni, perché la biblioteca Albino è chiusa immotivatamente da anni e perché l’ex hotel Roxy continua a degradare in attesa che sul suo rudere si imbastisca un qualche affare conveniente per qualcuno, visto che la Regione che paga ai privati milioni di euro di affitto ogni anno, non è stata in grado di costruire una sede che avrebbe restituito decoro e ricchezza alla comunità. Campo basso perché non c’è lavoro per i nostri giovani, la comunità avvizzisce e imperversa lo spaccio e la cultura della droga.

Campo basso perché misconosciamo la nostra letteratura, guardiamo con sospetto il nostro teatro e mettiamo all’indice gli artisti che ci capitano a tiro; perché sottovalutiamo la funzione didattica, formativa del cinema e limitiamo il discorso delle scuole al fatto che non cadano sulla testa dei nostri figli, dimenticando che esse costituiscono il primo e fondamentale laboratorio per il nostro futuro, del quale affatto casualmente abbiamo smarrito la nozione.

Campo basso perché abbiamo dimenticato la terra e la cultura agropastorale dalla quale veniamo, perché lavoriamo svogliatamente nel sistema di terziario arretrato centrato nella burocrazia e nel servizio pubblico che ha dato vita alla nostra modernizzazione e contemporaneamente al nostro vizio sociale, e che però adesso è arrivato a consunzione. Perciò, in definitiva, qui dove vivo, io mi trovo a campare basso.

Antonio Ruggieri75 Posts

Nato a Ferrazzano (CB) nel 1954. E’ giornalista professionista. Ha collaborato con la rete RAI del Molise. Ha coordinato la riedizione di “Viaggio in Molise” di Francesco Jovine, firmando la post—fazione dell’opera. Ha organizzato e diretto D.I.N.A. (digital is not analog), un festival internazionale dell’attivismo informatico che ha coinvolto le esperienze più interessanti dell’attivismo informatico internazionale (2002). Nel 2004, ha ideato e diretto un progetto che ha portato alla realizzazione della prima “radio on line” d’istituto; il progetto si è aggiudicato il primo premio del prestigioso concorso “centoscuole” indetto dalla Fondazione San Paolo di Torino. Ha ideato e diretto quattro edizioni dello SMOC (salone molisano della comunicazione), dal 2007 al 2011. Dal 2005 al 2009 ha diretto il quotidiano telematico Megachip.info fondato da Giulietto Chiesa. E’ stato Direttore responsabile di Cometa, trimestrale di critica della comunicazione (2009—2010). E’ Direttore responsabile del mensile culturale “il Bene Comune”, senza soluzione di continuità, dall’esordio della rivista (ottobre 2001) fino ad oggi. BIBLIOGRAFIA Il Male rosa, libro d’arte in serigrafia, (1980); Cafoni e galantuomini nel Molise fra brigantaggio e questione meridionale, edizioni Il Rinoceronte (1984); Molise contro Molise, Nocera editore (1997); I giovani e il capardozio, Nocera editore (2001).

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