Una città a cerchi concentrici

Campobasso ha un centro urbano all’interno del centro urbano: è il centro della città medievale la quale è in qualche modo autonoma rispetto all’intero insediamento urbanistico, avente oltre che la piazza, le periferie, la strada commerciale
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Un centro cittadino all’interno di un centro cittadino. È questo il paradosso che si verificherebbe se si spostassero alcune funzioni pubbliche nel nucleo centrale del borgo medievale cioè piazza S. Leonardo dove vi sono il palazzo Cannavina, il palazzo cosiddetto Presutti, il palazzo denominato De Capoa o, in alternativa, Salottolo, volumi edilizi di notevole capienza, capaci di ospitare uffici di amministrazioni sovracomunali e civiche, in particolare quelli di rappresentanza. Otterremo così un disegno a cerchi concentrici del centro della città, con il cerchio maggiore che include le piazze Municipio e Prefettura al cui interno vi è un cerchio più piccolo che circoscrive piazza S. Leonardo. Quest’ultima verrebbe chiamata a svolgere così in modo paritetico con le piazze della Campobasso ottocentesca un ruolo direzionale a livello urbano e anche extraurbano poiché la città è il capoluogo della regione. Non si tratterebbe comunque, di un raggruppamento unitario, coeso costituendo le tre piazze, le due sorte nell’800 e quella risalente al medioevo, episodi distinti e separati poiché seppur vicini non sono contigui, a separarle vi è un braccio viario, la “strada del Borgo”, via Cannavina. Lungo tale via si collocano caseggiati abitativi i quali costituiscono uno iato che distanzia le sedi di governo locale e regionale da posizionare negli stabili di maggior rilievo della piazza S. Leonardo e quelle che sono insediate nel Borgo Murattiano.
In definitiva non vi sarebbe una compenetrazione tra i centri delle due zone urbane, quella all’interno del perimetro delle mura e quella all’esterno delle stesse. La prima delle due zone ha conservato una sua autonomia in termini urbanistici configurandosi quale insediamento di forma compiuta che come qualsiasi normale entità insediativa ha un suo centro, la piazza S. Leonardo, su cui prospettano la chiesa parrocchiale e la residenza feudale, rappresentando, dunque, il polo religioso e quello civile, una sua via commerciale e una sua periferia. Anzi due periferie completamente diverse l’una dall’altra. Quella verso valle, però, se per periferia si intende la fascia di transizione tra la città e la campagna non è propriamente tale, non c’è un diradamento dell’edificato che procedendo dal centro sfuma nell’agro. In questo verso, cioè verso il basso, vi è piuttosto un’interfaccia tra l’agglomerato e il territorio rurale dato dalla schiera di case sovrappostasi alla mutazione cittadina in condivisione tra il dentro e fuori; la sua appartenenza fondamentalmente all’aggregato storico è attestata dal fatto che il “verso” della “stecca” edilizia, l’ingresso degli stabili, è sul percorso di circonvallazione che segue dal di dentro la cerchia muraria, via S. Antonio A. e Ziccardi, e il “retro” sul circuito viario che sviluppa parallelamente all’altro, via Marconi, Orefici, del Castello, nel lato opposto della cinta in passato fortificata. Tale secondo anello stradale separa il vecchio dal nuovo borgo, la città antica dalla campagna di un tempo. In direzione monte Campobasso si conclude, anche ora, con il castello. Il maniero è distanziato dal borgo mediante una fascia di verde, uno spazio vuoto lasciato libero per le manovre militari, un’idea del Conte Cola; siffatto limite urbano è preceduto da isolati in cui man mano che si sale la volumetrazione si riduce.
Due modi diversi di configurazione della periferia, in basso una striscia continua di edifici ambifaccia, ovvero con un fronte che affaccia nel nucleo antico e uno che guarda esternamente, all’area suburbana, in alto una progressiva rarefazione dell’abitato, una classica periferia. L’indipendenza del “centro storico” dal resto dell’insediamento la si coglie pure nella mancanza di complementarietà, di, perlappunto, interdipendenza, tra l’assetto vicino intra e extramurario, neanche di singoli monconi, per via della disomogeneità delle sezioni stradali, restringendosi molto i “canali” di comunicazione nell’ambito circondato dalle mura oltre che trasformandosi spesso e volentieri in gradinate, esempio via Chiarizia. La città antica è irriducibile alla moderna a pena di voler sacrificare la sua individualità, alterare la sua completezza come organismo urbano, la sua funzionalità, collaudata da quasi mille anni di vita, di sito residenziale. Finora si è parlato dell’inserimento del nucleo di età più remota nel contesto cittadino e adesso si vuole accennare a un settore urbanistico di altrettanta valenza architettonica, seppure non così datato. Si tratta del Borgo Murattiano il quale per caratteri fisici, la larghezza delle strade, il verde pubblico, ecc. si rivela pienamente in linea con i dettami dell’urbanistica contemporanea. Ci sono principi della scienza urbanistica che qui per la prima volta sono stati oggetto di sperimentazione. Ci si riferisce, in particolare, all’attenzione alle modalità attuative del piano. Tra le fasi che vanno rispettate nella programmazione territoriale vi sono l’acquisizione da parte dell’ente dell’areale di pianificazione, in verità in questo caso già in possesso dell’amministrazione in quanto suolo tratturale, l’adattamento del terreno con livellamenti e bonifica idraulica all’uso edificatorio e, poi, a seguito della sistemazione del sedime della lottizzazione, l’assegnazione dei lotti a chi intenda costruire con l’assegnatario che si impegna a contribuire alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria. È un’operazione costruttiva equilibrata pubblico-privato, un’esperienza da imitare.





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