Del patrimonio culturale non va sprecato nulla

di Francesco Manfredi-Selvaggi

 

Ci sono casi in cui sono state riutilizzate costruzioni antiche per edifici con la medesima destinazione d’uso, ovviamente solo il basamento, prendi una chiesa al posto di un templio e al posto di una domus una casa e così via e casi in cui vi è stato il cambiamento delle funzioni, prendi il teatro di Altilia che era diventato un complesso di case a schiera (Ph. F. Morgillo-Veduta di scorcio del piano terra del palazzo della Prefettura)

 

 

Il motto, prima dell’odierna società dei consumi, è che non si spreca nulla, tutto si riusa. Lo si è fatto sin dall’alto medioevo con i resti archeologici. Ai tempietti sanniti di Piana dell’Angelo a Vastogirardi e di S. Pietro in Cantoni a Sepino si sono sovrapposte chiesette paleocristiane dedicate rispettivamente a S. Angelo e a S. Pietro. Ciò vale non solo per i piccoli edifici di culto, ma pure per architetture religiose di primo piano ed è il caso della cattedrale di Isernia che sorge sul podio di un templio italico. Si conserva delle architetture sacre pagane esclusivamente il basamento. Si reimpiegano non solo opere cultuali ma pure strutture abitative, sempre limitatamente alla fascia basamentale e sempre per usi affini; a una funzione religiosa assolvono tanto i templi che le chiese che si sono sovrapposti ad essi, destinazione residenziale hanno sia le domus romane sia i corpi di fabbrica che si sono impiantati su di queste in età moderna con i setti murari a livello terraneo delle prime che vengono sfruttati nei piani terra delle dimore successive, fin quasi agli albori della contemporaneità.

Ad Altilia presso Porta Tammaro sono ben visibili tratti di muratura in opus reticolatum all’interno di stalle e fondaci di case di epoca posteriore. Ciò che si è appena detto relativamente all’omogeneità dal punto di vista funzionale tra vani ad uso domestico posti a livello terraneo di età romana e quelli di periodi più recenti che si avvalgono delle stesse mura è subito smentito: l’antico teatro di Altilia, le sue sostruzioni, si è trasformato in un complesso di residenze a schiera. A proposito della struttura teatrale è da dire che, comunque, se nel medioevo era diventata un’attrezzatura funzionalmente obsoleta oggigiorno è ritornata ad essere utilizzata per spettacoli.

Difficilmente si punta ad un utilizzo contemporaneo di un manufatto archeologico, il teatro è un’eccezione, seppure fosse ancora integro. Un caso particolare è rappresentato dalla basilica la quale si sarebbe prestata con relativa facilità a trasformarsi in edificio di culto a 3 navate rimettendo in piedi con un’operazione di anastilosi i colonnati e dotandola di un tetto perché tipologicamente affini, non per niente le chiese le si fanno discendere dalle basiliche; sorprende che non lo sia fatto anche in considerazione della circostanza che ad Altilia, tuttora, manca un ambiente per il culto. Finora abbiamo parlato di edilizia e adesso aggiungiamo che ci si è avvalsi dell’eredità del passato anche nella configurazione degli spazi urbani: l’impianto viario del centro storico di Isernia di oggi è ancora quello di ieri con la piazza della cattedrale che era il foro di Aesernia, quest’ultima cosa succede pari pari anche a Trivento.

Con un salto, è proprio il caso di dirlo, epocale, siamo ora nel XIX secolo, passiamo a vedere, per quanto riguarda il riuso, i conventi. È da premettere che mentre per le testimonianze dell’antichità remota delle quali si è appena trattato è, di certo, più opportuno lasciarle allo stato ruderale, non ci si può permettere che si riducano a rudere i complessi conventuali e nemmeno il loro abbandono che ne è il preludio, non fosse altro che per il loro valore immobiliare. Bisogna trovar loro una ragion d’essere nuova, persa molti di essi quella originaria una volta che si decise durante il Decennio Francese, decisione confermata dalla monarchia sabauda, la soppressione degli ordini monastici.

È lecito ritenere che si arrivò alla determinazione di abolire le congregazioni monastiche non tanto per la politica di secolarizzazione della società perseguita sia durante il breve governo napoleonico sia nell’Italia post-risorgimentale quanto piuttosto per incamerarne i beni. Il patrimonio architettonico conventuale a Campobasso era notevole e il capoluogo di una provincia di recentissima istituzione si avvalse, perlomeno, del loro sedime poiché il terremoto del 1805 se non aveva ridotto ab imis i monasteri ne aveva compromesso la stabilità, per dotarsi delle principali attrezzature civiche. Invece di ricostruire le vecchie strutture la città optò per realizzare ex-novo sul sito delle stesse le sedi delle istituzioni pubbliche, dell’ospedale, della scuola conformandole alle tendenze distributive più attuali, quindi adottando soluzioni tipologiche aggiornate.

A Isernia, invece, si è dovuta forzare un po’ la mano per ricondurre l’impianto conventuale alla categoria d’uso che si intendeva attribuire ad esso o, comunque, ci si è dovuti adattare all’assetto architettonico a disposizione; nel convento di S. Francesco si è ubicato il municipio, in quello d S. Maria delle Monache si è allocato l’antiquarium e la biblioteca e ciò evidenzia la versatilità di tali architetture ad ospitare attività le più diverse. I conventi confiscati oggi sono destinati ad un processo inverso, quello della sdemanializzazione perché lo Stato ha bisogno di fare “cassa”. Le chiese non hanno mai mutato la loro “ragione sociale” pur minacciate dai giacobini di diventare saloni per il gioco della pallacorda; il rischio per esse non è più quello di un “uso improprio” bensì quello, nei piccoli borghi, di non essere più officiate perché ciò prelude al decadimento a meno che non siano di grande interesse artistico, come la Cripta dell’Abate Epifanio, per cui oggetto di visite turistiche alla stregua di una galleria d’arte.

Francesco Manfredi Selvaggi690 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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