Per frenare la mobilità sanitaria

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Ci si muove per raggiungere mete ospedaliere, ma sono, sempre in aumento le malattie croniche la cui cura richiede l’apporto con continuità dei servizi sanitari territoriali

Si è sempre privilegiato, nel dibattito pubblico e nell’allocazione dei fondi, qui da noi il tema della costruzione prima e del rafforzamento dopo della rete ospedaliera, mettendo in secondo piano quello della rete territoriale dei servizi sanitari. Si è trattato fino a qualche tempo fa di questioni separate fra loro. Non è, però, così, non lo è mai stato ed ancora di più oggi che cominciano a prevalere le malattie croniche per le quali è fondamentale la risposta del territorio, ancor più di quella che può dare un ospedale. Nel Molise, agli inizi degli anni 70 vennero realizzati gli attuali nosocomi, tutti molto grandi, nonostante che fosse nell’aria la Riforma Sanitaria che, approvata nel 1978, mise insieme l’assistenza ospedaliera con quella sociale, attribuendo loro una pari dignità.

Più che di riforma si dovrebbe parlare di autentica rivoluzione sanitaria perché l’ospedale perse la sua centralità nelle strategie per la difesa della salute. Continuerà per un pezzo il modo di sentire consolidato che è l’ospedale ad essere il fulcro della sanità tanto che ancora nell’ultimo decennio del millennio scorso la discussione era concentrata sugli apparati nosocomiali e poco sul resto; veniva definita una priorità della Regione la fondazione di un nuovo ospedale il quale sarebbe dovuto sorgere tra Isernia e Venafro, dismettendo le preesistenti strutture; in verità, in tale caso i ragionamenti fatti non erano basati su convinzioni di politica sanitaria, bensì sulla volontà di stemperare le polemiche di ordine campanilistico insorte dopo la minaccia di soppressione dell’istituto venafrano.

Nel dimensionamento degli ospedali nati nel ’70, o meglio nel sovradimensionamento, non furono fatti calcoli specifici che pure si sarebbero potuti eseguire trattandosi di nosocomi che andavano a sostituire altri precedenti aventi il medesimo bacino d’utenza. Neanche si verificò, reparto per reparto, se il volume delle prestazioni, mediche o chirurgiche, sarebbe stato sufficiente a giustificare l’attivazione di tale divisione o talaltra: adesso sono stabilite soglie di operazioni da effettuarsi per il privato che intende “accreditare”la sua clinica presso il servizio sanitario regionale.

In effetti, nel momento che viviamo ogni previsione è soggetta ad essere smentita per via del fenomeno che non si riesce a governare della mobilità interregionale dei pazienti. Sia essa “attiva”, cioè lo spostamento dei malati verso la nostra terra la quale ha la consistenza maggiore, sia “passiva” essa rappresenta un nodo cruciale nella programmazione della Regione in materia di sanità. È un problema recente quello dello spostamento delle persone per ricevere cure ed è legato alla crescita delle informazioni sulle offerte terapeutiche, alla accresciuta consapevolezza dei cittadini sulle tematiche della salute, alla facilità dei movimenti anche verso mete lontane, al benessere economico, allo sviluppo della cura della persona: specie in presenza di una grave patologia si è disposti ad uscire fuori della propria regione nella ricerca di una soluzione curativa migliore.

Ciò anche in presenza di liste d’attesa lunghe, inevitabili per gli ospedali più accorsati. È un gatto che si morde la coda in quanto diminuendo la domanda di un certo tipo di prestazioni, in particolare quelle maggiormente complesse, gli ospedali locali diminuiscono l’impegno a garantire livelli qualitativi molto elevati per quelle specialità con la conseguenza (che, come si è visto, è pure effetto) che i pazienti migrano altrove. Ciò che andrebbe fatto è la istituzione di rapporti con le realtà ospedaliere in cui si ricoverano preferibilmente i nostri corregionali in modo che il follow up si svolga in un nosocomio molisano, anche se supervisionato a distanza dall’apparato medico dell’ospedale extraregionale che li ha ospitati.

Ciò sembra essere indispensabile per gli stati patologici connotati da cronicizzazione, altrimenti necessitanti di un continuo andare e venire da luoghi lontani da casa; la cronicità delle malattie più frequenti, lo abbiamo detto all’inizio, è una caratteristica peculiare della società contemporanea. I Piani Diagnostico Terapeutico Assistenziale, in sigla PDTA, in cui è essenziale l’apporto dei servizi territoriali, è la procedura terapeutica idonea per affrontare tali mali e ciò dovrebbe distogliere i malati dal recarsi altrove perché per essi non c‘è un intervento risolutore, cioè capace di risolvere una volta per tutte quella patologia.

Spesso i cosiddetti viaggi della speranza sono intrapresi per la fama acquisita da una certa entità ospedaliera, non sempre meritata, mentre ci si rifiuta di ricoverarsi in loco per la scarsa credibilità della sanità nostrana, a volte immeritata, frutto di pregiudizi. In altri termini, la decisione di curarsi fuori regione è, in qualche caso, ispirata da un sentimento di “esterofilia”, per estero intendendo località esterna ai nostri confini. Sarebbe opportuna una ben progettata campagna di comunicazione aziendale dei nosocomi molisani diretta ai molisani con la quale evidenziare il buon livello qualitativo, nel complesso, dell’organizzazione sanitaria. Alla medesima maniera, gli ospedali potrebbero costruire una specifica brand che li renda riconoscibili. Strategia differente è quella di associare, ci stiamo riferendo al Cardarelli, la propria immagine a quella di una struttura ospedaliera di prestigio, la Cattolica condividendone la sede. Pure quest’ultima avrebbe dei vantaggi competitivi che non può ottenere da sola unendo le sue specialità alla ricca dotazione di servizi del Cardarelli.

Francesco Manfredi Selvaggi578 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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