L’arte perduta di formulare auguri/Piccolo Breviario per digitalizzatori compulsivi

Siamo sommersi via smartphone dall’esplosione senza precedenti di una messaggistica social e da un’orgia di retorica natalizia illustrata ricorrendo a un prêt-à-porter di stelline, emoticon, alberelli, slitte, presepietti e Babbi Natali. Roba da abbracciare con gratitudine e ammirazione l’anticonformista che si fosse presa l’ardua briga di affrancare una busta con due semplici paroline scritte a mano.

Forse qualcuno penserà che sono cazzate da nostalgici radical chic. Ma non si tratta qui di contestare l’indubbia comodità che, grazie a quella bomba a mano che abbiamo in tasca, ci permette ora di farci ricordare in pochi secondi da così tante persone che una volta ce lo sognavamo. Quello che in sostanza preoccupa è l’impressionante omologazione automatica di un linguaggio standardizzato e la banalizzazione di massa della più bella e intima ricorrenza dell’anno.

Un gran numero di molisani il Natale lo vive nel raccoglimento e nel silenzio di piccoli borghi, condizione ignota e Invidiabile per chi abita nei grandi centri dove la macchina collettiva è in preda a una contagiosa frenesia consumista in contrasto con l’atmosfera che richiederebbe l’evento. Una volta i moralisti condannavano puntualmente questo trend, oggi c’è più tolleranza o forse una resa per ragioni economiche. Tuttavia non si può negare che il fenomeno è pur sempre il segnale di un insopprimibile bisogno vitale di mettere dei doni sul mercato degli affetti.

Il Natale è alle nostre spalle, ma il più importante dei suoi simboli – quello della nascita che diventa rinascita – rimane particolarmente attuale a poche ore dalla nascita di un nuovo anno. Come accoglierlo? Con quali parole provare a scongiurare le nostre paure e timori? Per i digitalizzatori di auguri 2020, possono ancora funzionare le spicciole formulette standard a base di buoni sentimenti natalizi?

Dinanzi a un anno problematico come quello che ci aspetta non sarà facile cavarsela con le solite espressioni convenzionali tipo: serenità, pace, benessere, successi, vincite, incontri di anime gemelle et similia.

E allora potrebbero cimentarsi con un carosello di auspici, pronostici e auguri “politicamente” compromettenti tipo: un 2020 senza droga, senza mafie, con più redditi di lavoro che di cittadinanza, senza licenziamenti, senza Salvini e smutandate balneari, con più donne che uomini al potere, con più nascite e asili nido, con più lettori che odiatori, con più sardine che leghine, con più silenzio che cagnara e magari, scendendo in Molise, con una Sanità e un TPL (Trasporto Pubblico Locale) decisamente più decenti.

Giuseppe Tabasso334 Posts

(Campobasso 1926) ha due figli, un nipotino e una moglie bojanese, sempre la stessa dal 1955. Da pianista dilettante formò una band con Fred Bongusto. A suo padre Lino, musicista, è dedicata una strada di Campobasso. Il Molise è la sua Heimat. “Abito a Roma - dice - ma vivo in Molise”. Laureato in lingua e letteratura inglese, è giornalista professionista dal 1964. Ha iniziato in vari quotidiani e periodici (Paese sera, La Repubblica d’Italia, Annabella, Gente, L’Europeo, Radiocorriere). Inviato di politica estera per il GR3 della RAI, ha lavorato a Strasburgo e Bruxelles, a New York presso la Rai Corporation e a Londra e Colonia per le sezioni italiane della BBC e della Deutschland Funk. Pubblicazioni: Il settimanale con Nello Ajello (Ediz. Accademia, Roma 1978); Facciamo un giornale (Edizioni Tuttoscuola, Roma 2001); Il Molise, che farne? (Ed. Cultura & Sport, Campobasso 1996); per le Edizioni Bene Comune; Post Scriptum, Prediche di un molisano inutile ( 2006); Gaetano Scardocchia, La vita e gli scritti di un grande giornalista (2008); Moliseskine (2016). In corso di pubblicazione Fare un giornale, diventare giornalisti, Manuale di giornalismo per studenti, insegnanti e apprendisti comunicatori.

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