C’è la “bassa” pure nel Molise

Alla classica suddivisione tra il Meridione e il Settentrione bisogna aggiungere quella tra la fascia costiera e le zone
interne. Anche il ruolo cui gli agglomerati urbani principali assolvono nel rapporto città-campagna è diverso
spostandoci dalla marina all’appennino
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si è avuta, specie in passato, una concentrazione degli investimenti destinati al settore Primario sul basso Molise perché, dato l’andamento piatto del suolo, in fieri è la zona con maggiore produttività agricola, cioè si presta meglio allo sviluppo di un’agricoltura moderna. Peraltro quest’area per l’abbondanza di acque superficiali, beninteso non di sorgente bensì trasportate dai corpi idrici, un grande bacino scolante dell’intera regione, lasciava intravvedere, tramite la realizzazione di opportune opere idrauliche, le sue potenzialità di comprensorio irriguo, quindi adatto anche a colture di pregio, quelle orticole. In altri termini da essere il distretto più svantaggiato, poiché paludoso, dal punto di vista agronomico è diventato quello più avvantaggiato. La spesa, pubblica, tanto per il governo delle acque con la bonifica dei pantani, l’Alto e il Basso, quanto per la fornitura di questa preziosa risorsa ai coltivatori è stata enorme, si pensi solo ai soldi utilizzati per la realizzazione della diga del Liscione, una somma estremamente superiore a quella che è stata prevista, nel medesimo comparto, per altre parti del Molise.
È superfluo dirlo, anzi al contrario è utile, si determina uno iato profondo in quanto a rendimento agricolo tra il circondario bassomolisano e il resto della regione; non c’è alcuna affinità dal punto di vista dello sfruttamento agrario tra di essi. Le piane irrigue come quella del Molise costiero sono equiparabili per redditività alle altre pianure irrigue della Penisola, non conta se poste a meridione o a settentrione dello Stivale; la differenza in termini di andamento dell’economia agricola non sta tra il Nord e il Sud d’Italia bensì tra le piane irrigue e le cosiddette aree interne. Sono due ambiti territoriali, l’uno litoraneo e l’altro interno, che si trovano, nella nostra regione e un po’ ovunque, alla stessa latitudine, peraltro fianco a fianco, e però strutturalmente, in riguardo al comparto Primario, assai diverse. Finora abbiamo parlato del tema economico e ora ci spostiamo su quello insediativo, in particolare sull’insediamento sparso che in conseguenza dell’azione della Riforma Agraria è cresciuto, a dire la verità ha fatto la sua comparsa perché prima era quasi assente per via della malaria nell’areale pianeggiante prospiciente il litorale, mentre nelle campagne dell’interno della regione è in decremento con tante case rurali rimaste ormai vuote. È come se si fosse attivato un contrappeso, le persone in un lato del territorio molisano sono fuoriuscite dalle dimore rurali, mentre al lato opposto, sono apparse le case coloniche dell’Ente di Riforma. In una stima sommaria, però non ad occhio in quanto i fabbricati sono “a vista d’occhio”, si rileva che l’agro si è svuotato, la presenza umana è, complessivamente, diminuita.
Di argomento in argomento, sempre parlando delle superfici agresti, siamo partiti dalle piane irrigue e dopo siamo passati alle abitazioni in campagna e di seguito ampliamo la veduta includendo anche gli agglomerati insediativi visti
in relazione allo spazio rurale. Ci interessiamo solo a quelli di maggiori dimensioni per verificare se sta ancora in piedi il binomio città-campagna quale chiave di lettura dei fenomeni socio-economici in atto. È bene, per sgombrare il campo, dire che solo Termoli sta nella piana irrigua la quale, però, non è in dipendenza da tale episodio urbano poiché l’operazione di bonifica è stata eterodiretta, le determinazioni in proposito sono state assunte in sedi lontane da questo centro, non a livello locale. La cittadina adriatica è un caso a sé, qui la campagna cui è a servizio è la distesa marina non la terraferma, nel suo mercato, che è ittico, si vendono i frutti di mare, non i frutti, la frutta, della terra, i mezzi di produzione sono le imbarcazioni dei pescatori riparate nel cantiere navale locale non i trattori. Altrove le città si misurano con il proprio agro: i caseifici di Boiano trasformano il latte dei bovini i quali trascorrono una parte dell’anno in alpeggio sui pascoli montani in prodotti caseari, i famosi bocconcini; Larino dà una mano alla campagna ospitando l’unica scuola superiore, l’Istituto Agrario, della regione in cui si formano gli operatori agricoli del futuro; “in” Agnone vi sono botteghe artigiane che “sfornano” contenitori vari, tra cui le famose “callare”, in rame, per le esigenze di cottura, si pensi alle conserve di pomodoro, e altri recipienti per il trasporto di alcuni prodotti della campagna e così via. È da sottolineare che per campagna non si intende esclusivamente il territorio incluso nel perimetro comunale di quella città ma il suo significato in termini areali varia potendo includere un intorno territoriale più ampio, come fosse una sorta di contado che fa capo ad essa. A dircelo è la denominazione di alcuni Comuni prossimi al capoluogo pentro, ci stiamo
riferendo ad Acquaviva e a Macchia ambedue “d’Isernia”. Pure Agnone ha una sua “filiazione” che è Castelverrino il quale un tempo si chiamava Castelluccio d’Agnone. Larino è la sola città di origine sannitica da cui prende il nome il circondario il quale è conosciuto fin da epoche remote come il Larinate.
Nell’antico Sannio i luoghi sono normalmente associati alle tribù che vi abitano, i Pentri, i Frentani, i Caraceni non alle città che vi insistono. A Trivento le vestigia più eloquenti del municipio della Terventum romana le si trovano in campagna, lo splendido mosaico della villa rustica di Canneto, piuttosto che in città.
In copertina foto di F. Morgillo-Paesaggio bassomolisano
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