La sottile linea rossa

 

di William Mussini

Il film capolavoro di Terence Malick

Il film di Terence Malick “The Thin Red Line” del 1998, ispirato all’omonimo romanzo di James Jones, propone numerosi argomenti di approfondimento riguardo gli aspetti più controversi della natura umana, nonché delle pseudo certezze del sistema antropico contemporaneo. Ricordiamo che lo stesso romanzo di Jones deve il titolo a sua volta all’opera narrativa “Tommy” di Rudyard Kipling. Il racconto dal titolo “la sottile linea rossa di eroi” descrive le imprese della fanteria britannica con le celebri divise militari denominate appunto “giubbe rosse”.

In particolare Kipling  narra della battaglia di Balaclava del 1854 durante la guerra di Crimea, denominata appunto “la sottile linea rossa” che vide il disastroso epilogo di una carica della cavalleria leggera britannica contro una batteria di cannoni russi. Leggiamo dal testo di Kipling: “C’è una sottile linea rossa che separa il sano dal pazzo. C’è una sottile linea rossa che separa il paradiso dall’inferno, la vita dalla morte. C’è una sottile linea rossa che separa il bene dal male, la pace dalla guerra. O meglio, c’era una sottile linea rossa ed ora non c’è più.”

Analogamente a Kipling anche Jones nel suo romanzo si riferisce ad un combattimento specifico. La battaglia è quella svoltasi tra l’esercito Americano e quello Giapponese sull’isola di Guadalcanal nel 1942 sul fronte dell’oceano Pacifico durante la seconda guerra mondiale. “La Sottile Linea Rossa” è senza ombra di dubbio tra le mie pellicole preferite; dopo la visione al cinema, sapevo con certezza di aver visto un vero capolavoro e che l’avrei aggiunto tra i primi film della mia personale classifica dei più suggestivi e significativi. Il regista Terence Malick diceva riguardo la visione del suo film: “È come discendere un fiume, e il film dovrebbe avere questo tipo di flusso”.

Il film presenta un cast stellare e riesce ad esaltare le caratteristiche di tutti gli attori coinvolti, attraverso anche all’utilizzo di molteplici monologhi interiori dei protagonisti: il monologo interiore del barelliere Witt (Jim Caviezel) che sonda attraverso parole semplici e visioni poetiche, l’aspetto spirituale e metafisico della condizione umana; c’è quello del tenente colonnello Gordon Tall (Nick Nolte) che mostra la forza effimera del materialismo che si ciba di orgoglio, di eroismo e subordinazione; ed ancora quello del capitano Staros (Elias Koteas) che combatte una guerra personale evidenziando la contrapposizione tra i valori militari e quelli squisitamente umani; del sergente Welsh (Sean Penn) che non riesce a vedere altro mondo alternativo e migliore di quello contingente perché accecato dal cinismo della realtà fattuale; e poi del soldato semplice Jack Bell (Ben Chaplin) che pensa alla sua amata compagna lasciata in Patria come fosse l’unica ragione per la quale ritornare vivo dalla guerra.

Dice nei suoi pensieri il protagonista Witt: “Un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non sia altro che dolore senza risposta, ma è la morte che ha l’ ultima parola, ride di lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello e sente la gloria, sente nascere la gioia eterna dentro di sé”. Il film presenta i due elementi “uomo” e “natura”, in una perenne, simbiotica contrapposizione.

Nelle osservazioni di Witt, la natura assume il ruolo di “Madre” benevola, paradisiaca ma allo stesso tempo misteriosa. L’accettazione consapevole della suprema ineluttabilità della condizione esiziale della vita, induce Witt a vivere l’esperienza estrema della guerra in modo differente, intravedendo prospettive di immortalità e riscatto.

Nelle sequenze iniziali, Witt ed un suo compagno disertore, vivono in un villaggio abitato da pescatori, dove donne e bambini ancora non contaminati dal germe dell’avidità e della violenza, sono capaci ancora di essere felici, di lasciarsi rubare un sorriso, di giocare fino al tramonto tra la spiaggia e il mare cristallino. Quel mondo paradisiaco è il mondo ideale che rende possibile la convivenza tra gli uomini in armonia con gli elementi della natura. Il barelliere Witt, ultima ruota del carro di un esercito di mastini agguerriti, ha capito che la salvezza esiste e si trova lontano dalla follia dell’uomo che accetta l’obbedienza, gli ordini di un superiore, di un Presidente, di una Nazione.

La separazione conflittuale, quella che propone due tipologie di mondi possibili è evidente nel dialogo tra Sean Penn (serg. Edward Welsh) e Jim Caviezel (soldato Witt), due personaggi agli antipodi, rappresentanti di due diverse visioni della realtà. Welsh, è il sergente esemplare e quasi infallibile dal volto teso e scolpito dal sole e Witt è il barelliere, votato all’altruismo con la serenità di chi ha capito che la forma d’amore più potente in assoluto è la compassione. Entrambi sono altrettanto intelligenti da riuscire a guardare in lontananza il proprio opposto per carpirne le motivazioni e le convinzioni. Il loro confronto/scontro si trasforma durante il film, passando dall’astio reciproco delle prime battute, all’amicizia nata dalla vicendevole commiserazione che trova nel finale tragico per Witt, la sua genuina sacralità.

In quella sala cinematografica, la magia della settima arte si è palesata in tutta la sua potenza nel momento in cui Witt, l’anima più pura ai comandi del Capitano Staros, sorride un attimo prima di morire per mano del nemico, aggiungendo alla sospensione di incredulità e al nodo in gola, quella personalissima emozione che ogni spettatore trasforma in empatia per l’innocenza. Ricordo che mi vennero in mente i versi del brano Terzo intermezzo (dall’album “Tutti morimmo a stento”) di Fabrizio De Andrè: “La polvere, il sangue, le mosche, l’odore. Per strada e fra i campi la gente che muore. E tu, tu la chiami guerra e non sai che cos’è. E tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi perché”.

È innegabile che Malick sia perfettamente riuscito nell’impresa di emozionare il suo pubblico e nel contempo di suscitare una riflessione profonda sui temi che da sempre coinvolgono gli animi più sensibili, quegli animi non ancora assuefatti alla conformità della violenza spettacolarizzata e fine a se stessa che oggi purtroppo domina sui canali mainstream dell’intrattenimento. Potremmo dire per questo che “La sottile linea rossa” non è soltanto un film di guerra ma che principalmente è un film poetico, dove le differenti voci interiori confluiscono in un unico sentiero da esplorare. Un flusso di coscienza che si interroga e scorre incessante in un contesto naturale non giudicante, apparentemente noncurante di una umanità che ha perduto il contatto con la propria intima essenza.

L’esteriorità atroce della guerra si contrappone al caos interiore dell’animo umano. Malick non prende le parti del vincitore, non ne racconta le gesta eroiche ma si schiera dalla parte dell’uomo che nel compiere il proprio sacrificio, travalica le ragioni folli di un sistema di potere apparentemente incontestabile. Per Malick non c’è differenza tra le sofferenze di un fante giapponese e quelle di un artigliere americano: tutti e due sono vittime di una follia collettiva organizzata che si attua attraverso ordini suicidi (come quelli del colonnello Gordon Tall che cita Omero) e orrori disumani (lo scempio delle salme dei soldati, lo stravolgimento della vita degli abitanti di quelle isole, la distruzione della natura).

Stiamo attraversando un periodo storico che esige approfondimenti e riflessioni su temi come: vita e morte, giustizia e violenza, abnegazione e libero arbitrio, che in questo intramontabile capolavoro cinematografico vengono trattati a mio avviso nella modalità più evoluta possibile. Per questo ed altri innumerevoli motivi consiglio a tutti di vedere o rivedere “La sottile linea rossa”, il film che più di ogni altro identifica e rivela altri mondi possibili, alternativi al materialismo che distrugge l’uomo allontanandolo dalla visione poetica dell’esistenza e dalla sua natura spirituale.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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