Agro-industria quasi una contraddizione in termini

A condizionare gli indirizzi colturali vi è l’industria di trasformazione dei prodotti agricoli la quale a volte ha sede
nel Molise a volte no per cui l’agricoltura molisana a volte, questa volta, è eterodiretta
di Francesco Manfredi-Selvaggi
All’inizio i caseifici non esistevano, neanche a Boiano patria dei “bocconcini” e neanche i bocconcini stessi come prodotto per il commercio a lunga distanza, perché in assenza all’epoca del frigorifero era impossibile la conservazione dei latticini freschi. Erano gli stessi allevatori che trasformavano il latte in formaggio, prevalentemente stagionato, il caciocavallo e la scamorza “appassita”. Se ne è fatta di strada da allora passando con la comparsa dei refrigeratori dalla raccolta del cosiddetto oro bianco presso le stalle o in estate, gli alpeggi sul Matese con funzione-cisterna e giungendo all’utilizzo da parte della fiorente industria casearia boianese di latte importato dal Nord Europa, nessun rapporto più con la produzione lattiera locale. I pastifici sembra ci siano stati da sempre, vedi quello degli Scarano a Trivento uno dei più antichi, e anche per questi la materia prima da trasformare arrivava in parte da fuori regione se non da oltre oceano. Una testimonianza di ciò, della provenienza extracontinentale, è la mancata consegna del grano imbarcato su un bastimento in America ai camionisti in attesa al porto di Napoli per conto della ditta Guacci la quale lo aveva pagato in anticipo e ciò a causa dell’isolamento imposto all’Italia dalle potenze straniere come ritorsione alle conquiste coloniche durante l’ “era fascista”. Ci sono, inoltre, le cantine sociali e i frantoi che sono anch’esse aziende trasformatrici delle produzioni agricole tradizionali, rispettivamente l’uva e l’olivo così come i caseifici e i pastifici lo sono per il latte e il grano.
Una coltura che non appartiene alla tradizione è la barbabietola da zucchero introdotta negli anni ’70 del secolo scorso nel Basso Molise per “alimentare” lo Zuccherificio di Guglionesi; questa iniziativa imprenditoriale ha condizionato gli indirizzi colturali della zona, non, cioè, li ha “assecondati” come hanno fatto le imprese della paleoindustria alimentare molisane, tipo, li si ripete, i caseifici e i pastifici. Da evidenziare che la barbabietola è una coltura industriale sia perché legata all’industria, appunto lo Zuccherificio, sia quale conseguenza dell’industrializzazione in agricoltura con la meccanizzazione delle varie fasi di coltivazione. Si consenta una considerazione dal sapore “dolciastro”: una porzione del paesaggio bassomolisano è stata condizionata da questa fabbrica di zucchero. La barbabietola da zucchero non è un ortaggio autoctono, il pomodoro che riforniva il Conservificio sempre di Guglionesi lo è e, però, le sue modalità di coltivazione sono completamente cambiate da quando è diventato una coltura intensiva; è stata un’autentica “rivoluzione” colturale conseguente alla disponibilità d’acqua per l’irrigazione garantita dalla diga del Liscione che ha ribaltato le vecchie pratiche agricole seguendo le quali il pomodoro conviveva nell’orto con altre specie ortive e gli alberi da frutto, vedi il tipico “pomodorino di Montagano”.
Il pomodoro qui, nella fascia costiera, ora, hic et nunc, è un’essenza vegetale specializzata, non più una componente della classica “coltura promiscua” delle nostre campagne. Spostandoci nel comparto zootecnico, anch’esso, comunque, appartenente al Settore Primario, se andassimo un poco più indietro nel tempo riscontreremmo qualcosa di analogo, è il caso dello stabilimento boianese della SAM cui faceva capo una serie, numerosa, di capannoni avicoli sparsi su un ampio territorio. Fino ad adesso abbiamo visto aziende regionali o, in ogni caso, che hanno sede in regione costituenti il riferimento per gli agricoltori, mentre attualmente la tendenza è quella per gli operatori agricoli di stabilire rapporti contrattuali con attività imprenditoriali del ramo agroalimentare dislocate altrove (ancora non arriva la Monsanto!), impegnandosi ad adottare le tecniche produttive indicate da queste e a conferire ad esse il raccolto o la raccolta se si tratta del latte vedi la Granarolo. La Regione perde in qualche modo il controllo, anche politico, sul mondo rurale, un ruolo, quello di controllo, che si era accresciuto progressivamente con l’acquisizione di quote azionarie della SAM, del Conservificio e così via attraverso il suo ente strumentale, l’Ersam.
Faccenda a sé sono la Centrale del latte e il Frigomacello, ambedue strutture a servizio della zootecnia, che fin dall’inizio sono totalmente in mano pubblica e solo in seguito sono state privatizzate, esperienze ormai concluse. Tra i tanti protagonisti, ovvero attori, che abbiamo visti avvicendarsi sulla scena, ovvero palcoscenico, nei vari momenti, ovvero atti, della storia dell’agricoltura nostrana contemporanea sono mancate le società capitalistiche al contrario di quanto è successo in giro per l’Italia. Seppure di natura pubblicistica e non privatistica un orientamento aziendalistico lo ha avuto l’Ente Cellulosa e Carta nella conduzione dei terreni dei quali era proprietaria in località Pantano di Campomarino, i quali una volta sciolto l’ente sono passati alla Regione la quale li ha gestiti con un apposito ufficio. Si tratta, la ragione sociale per così dire, di un allevamento bovino, all’opposto l’altro grande possedimento della Regione, il complesso Monte Caruso-Monte Gallo, ha quale finalità lo sfruttamento forestale. Vale la pena ricordare che il capitalismo nasce proprio nelle campagne con il fenomeno delle enclosure, la proprietà privata dei terreni senza la quale non sarebbe stato possibile avviare il processo di accumulo del capitale, un processo che in Inghilterra risale a oltre 200 anni fa e da noi è di là da venire.
Foto di copertina di F. Morgillo – La produzione artigianale di mozzarelle
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