Altilia, l’ubiquità dell’Urbe

Di Francesco Manfredi-Selvaggi

Roma è presente ovunque, nei confini dell’Impero vi sono infinite città che in infinitesimo sono la sua replica, ognuna dotata di terme, foro, basilica, templi, arco trionfale, manifestazioni visibili del suo potere.

Altilia ha almeno tre ragioni che ne motivano la formazione, oltre quella universalmente riconosciuta di essere un presidio romano in un territorio ostile qual’era il Sannio. La prima è la necessità di evitare un eccessivo intasamento dell’Urbe dovuto all’afflusso dei veterani i quali dopo tanti anni di campagne belliche risultavano sradicati, senza più contatti con i loro luoghi di origine; la colonizzazione era un modo per impedire ciò. Città, dunque, di origine artificiale e non come fenomeno geografico autentico; ne deriva che venute a cadere le motivazioni iniziali vengono a perdere le giustificazioni per la sua esistenza.

In verità, Altilia è l’unico caso di città romana che cessa la sua vita, mentre le altre, e cioè Boiano, Isernia e Venafro, sopravvivono alla dominazione romana, attraversano il medioevo e le epoche successive giungendo fino ai nostri giorni. La permanenza è una componente essenziale dell’”idea” di città, mentre il centro sepinese ha più qualcosa per quanto detto di un accampamento, seppure vissuto per molti secoli, che di una vera e propria entità urbana e, non a caso, dell’accampamento militare, quello costruito durante le guerre sannitiche dai Romani in tale luogo, segue lo schema viario.

Il secondo motivo, il quale si lega strettamente al precedente, è di tipo economico. Bisognava mettere a valore le terre conquistate e per far ciò i Romani operavano la centuriazione dell’agro. Ve ne sono tracce nella campagna sepinate, non distante da qui. L’andamento del cardo e del decumano i quali sono ortogonali fra loro assomiglia a quello seguito dalla centuriatio a dimostrazione che siamo di fronte ad un progetto unitario di città e campagna, il classico binomio con una differenza, però, che il disegno dell’insediamento urbano per il cui sito viene scelta una superficie piatta, non è soggetto a condizionamenti fisici come potrebbe essere il torrente Tammaro, la centuriazione, invece, per considerazioni pratiche, si adegua alla situazione morfologica.

Si è appena detto che la “forma urbis” è indipendente dal contesto territoriale e già lo si smentisce, in vero parzialmente: il cardo e il decumano sono orientati, di regola, rispettivamente da nord a sud e da est ad ovest, ma nell’antica Saepinum si ha uno slittamento, pur conservando la linearità e la perpendicolarità, degli assi, per tener conto del passaggio del tratturo. Non è raro, succede pure nella vicina Bovianum dove il decumano il quale fiancheggia il corso del Calderari che è curvo deve in qualche modo misurarsi con esso.

Per precisazione, si ritiene di dover evidenziare che quando il terreno non è in piano l’applicazione del modello stradale costituito da aste che si incrociano è difficoltosa e lo dimostra Terventum dove il foro, il quale è la congiungente dei vari percorsi, non può essere, come ipotizzato da Matteini Chiari, la piazza della Cattedrale perché il tempio di Diana, che doveva trovarsi nel piano del foro come qualsiasi tempio, è più in basso della quota della chiesa di cui è divenuto cripta. Il terzo fattore che ha portato alla nascita di Altilia non è di natura funzionale come quelli elencati prima, ma di ordine squisitamente simbolico.

La costituzione di una realtà insediativa risponde all’esigenza di manifestare in ogni angolo del suo dominio la presenza di Roma. L’intento semantico si rafforza con l’avvento dell’Impero quando l’immagine di Altilia si, per certi versi, monumentalizza con la costruzione del teatro, delle terme, di templi. Per quanto riguarda questi ultimi è da sottolineare che anche le divinità devono traslocare in città, la quale è il riferimento assoluto, muovendo dai santuari posti nelle zone in altitudine dai Sanniti, vedi Ercole Curino a Campochiaro.

La Città Eterna si replica, è scontato in scala ridotta e con varianti, tantissime volte, tra cui Altilia in giro per i confini dei possedimenti imperiali, quindi dall’Asia Minore all’Africa Settentrionale, dalla Penisola Iberica alla Gran Bretagna, dalla Francia ai Balcani. Si avverte pervadendo pure le coscienze individuali all’interno di questo vastissimo territorio, l’ubiquità del potere imperiale che controlla qualsiasi cosa, ogni aspetto della vita delle popolazioni assoggettate per farne i loro componenti cittadini romani.

La Pax Romana indetta da Augusto si manifesta con la civilizzazione urbana e i centri abitati ora sono maggiormente espressivi che nel passato, nel Sannio erano semplici vici almeno fin quando esso non entrò in contatto con la Magna Grecia e, perciò, con il concetto di polis. L’autorità imperiale è connaturata con la teatralità pure degli spazi: l’organizzazione assiale degli abitati e le stesse lunghissime, larghe e rettilinee strade rispondono a tale scopo. Nell’architettura ciò equivale al classicismo che tra i suoi dettami ha la disposizione rialzata, non conta di quanto, degli edifici pubblici (il crepidoma), a cominciare, ad Altilia, dalla Tribunal sopra la Basilica, per imporsi nelle vedute cittadine.

Quello che costituisce il segno distintivo dell’urbanistica voluto dagli Imperatori è l’ordine il quale rimanda alla pianificazione perché nel sistema di governo romano niente deve essere lasciato al caso. Un sistema altamente centralizzato non ammette di conferire una vera autonomia neanche al Municipio che è il rango concesso ad Altilia. Così il foro, tanto vasto, presente al suo centro non può essere considerato propriamente l’erede dell’agorà greca che era il posto delle assemblee democratiche nelle quali si prendevano le principali decisioni riguardanti la comunità locale, pur se ha caratteri formali simili.

Era, comunque, il foro una novità assoluta in quanto nella struttura vicana del Sannio preromano fatta di minuscoli villaggi non esisteva il concetto stesso di piazza, il luogo dove assumere le determinazioni sulle problematiche maggiori concernenti il futuro della tribù (equivalenti alle città-stato della Grecia) essendo rappresentato dai grandi santuari religiosi, il più grande è quello di Pietrabbondante presso cui si radunava periodicamente l’intera nazione sannita.

Il foro, ad ogni modo, nonostante non poteva essere una sede decisionale, con un gioco di parole, decisiva, rappresentava, di certo, un momento vitale di incontro per gli abitanti di Altilia, inevitabile del resto data la sua posizione nel crocevia tra il cardo e il decumano. Lo spazio pubblico quale punto focale dell’insediamento abitativo è cosa non da poco.

Questo suo ruolo di convergenza, peraltro non solo di chi vive in Altilia, ma anche dei mercanti che l’attraversano collocata com’è la nostra città sulla via Minucia e dei pastori durante la transumanza per via del decumano che è il tratto urbano del Pescasseroli-Candela, è esaltato dal non essere un episodio cittadino fisicamente a sé stante, segregato, come pure sarebbe potuto accadere, rispetto alla rete di circolazione, pure quella extraurbana (l’altra direttrice, il cardo, collega il Matese con la piana). Non è affatto appartato, bensì pienamente integrato nel tessuto urbanistico e ciò ne rivela la pregnanza civica.

Francesco Manfredi Selvaggi577 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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