Cos’è e soprattutto cosa non è l’anastilosi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

 

È questa un’azione restaurativa che si può effettuare solo quando i pezzi che componevano l’antico monumento sono dei conci lapidei. Si prestano bene all’effettuazione di tale operazione i colonnati con i rocchi delle colonne reinvenibili in situ (Ph. F. Morgillo-Le colonne della Basilica di Altilia frutto di anastilosi)

L’anastilosi è un’operazione pressoché esclusiva del restauro archeologico che richiede, la sua effettuazione, la presenza di due fondamentali condizioni, l’una che sia quella crollata un’opera fatta di materiale lapideo, l’altra che i pezzi di pietra di cui si compone siano stati rinvenuti nei pressi della stessa. Dunque è una ricomposizione piuttosto che una ricostruzione in quanto quest’ultima parola fa intendere che vi sia anche la possibilità, non negata ma allora non è anastilosi, di rifare interamente il manufatto senza utilizzare gli elementi costruttivi, i conci, originari perché non disponibili, magari andati spersi nella campagna, dispersi dopo il crollo.

Non è anastilosi propriamente detta neanche, va precisato, quando le reintegrazioni necessarie per rimettere in piedi, perché di questo si tratta, l’ “oggetto” architettonico caduto parzialmente a terra siano prevalenti rispetto alle parti rimaste all’impiedi, ciò assomiglia piuttosto ad una riedificazione. Prima di proseguire con i distinguo su cosa è e cosa non è anastilosi vediamo alcuni casi di applicazione di questa modalità restaurativa nel Molise. Il primo è stato quello del colonnato della Basilica di Altilia, forse la più facile anastilosi da effettuare in quanto i rocchi delle colonne erano lì nei pressi, non era difficile distinguerli da altre macerie che potevano trovarsi nell’intorno per la loro forma a cerchio; ovviamente è stato indispensabile provvedere ad una integrazione delle “lacune” con monconi nuovi.

Il secondo e fino ad ora ultimo qui da noi restauro eseguito seguendo il metodo dell’anastilosi è quello degli ingressi al teatro di Pietrabbondante il quale è consistito in una sorta di gioco ad incastri poiché si sono dovute riassemblare lastre di varie pezzature che da lungo tempo erano accantonate sul terreno vicino, numerate per consentire un facile rimontaggio. Si è in attesa di un terzo intervento di anastilosi il quale dovrebbe riguardare la copertura dell’ambulacro semicircolare che si sviluppa alle spalle del teatro, adesso di Sepino, assemblando i lastroni calcarei depositati a terra; forse non si sta ancora procedendo a mettere a punto il progetto dei lavori per comprensibili motivi di prudenza scientifica, piuttosto che per mancanza di fondi.

Bisogna avere un’assoluta sicurezza sul corretto posizionamento di queste pietre per poter procedere ai lavori, anche se il fatto che esse siano tutte uguali fra loro alla stregua di componenti modulari semplifica la messa in opera. Passiamo ora a vedere una casistica differente che se non riguarda in senso proprio l’anastilosi però ci si avvicina. Il foro di Saepinum risulta dominato da pochi decenni visivamente, è il manufatto più alto, il resto è fatto di resti, parole simili ma con significato diverso, di monumenti dei quali si conserva essenzialmente la pianta, non l’alzato; la struttura in questione è un traliccio metallico sagomato a mo’ di arco trionfale ed è appunto la riproduzione stilizzata dell’arco di trionfo dedicato ad un illustre sepinate appartenente alla famiglia dei Nerazi.

Funge tale incastellatura in ferro arcuata da supporto per una lapide celebrativa collocata in cima e ciò vale la pena farlo se si tratta di un reperto di pregio. Porta Benevento è stata rifatta interamente in cemento, l’unico oggetto originario è la scultura riproducente la testa di un guerriero (guerriero perché ha l’elmo) nella posizione in cui doveva trovarsi la chiave di volta dell’arco sulla faccia esterna dello stesso forse per intimorire chi si avvicinava alla città con intenti minacciosi; si è rinunziato invece a ricollocare in situ la trabeazione che era sovrapposta all’arcata contenente un’iscrizione commemorativa che è attualmente depositata all’aperto ai piedi della porta.

Eppure non ci sono dubbi sulla sua collocazione che è di certo identica a quella che sta sulla Porta Boiano in quanto sua gemella. Da notare, incidentalmente, che solo a Saepinum le porte sono tutte uguali fra di loro, non si riesce a trovare porte della medesima fattezza in nessuno degli insediamenti abitativi molisani ex municipia. Confrontando Porta Benevento con l’arco situato nell’area forense vengono immediate due considerazioni: la prima che in entrambi non vi è continuità tra i lacerti, un requisito dell’anastilosi, i quali sono stati “reincollati” nel punto che occupavano in origine e d’altronde non sarebbe stato possibile posizionarli contiguamente ad altri perché altri non ve ne sono; la seconda è che mentre per Porta Benevento si è voluto ricreare anche volumetricamente la fabbrica antica, restituirne la corporeità, ridare il senso della sua massa seppure in conglomerato cementizio, nell’arco trionfale il telaio in metallo risulta essere un ausilio per sostenere il fastigio, come se fosse un piedistallo di supporto e nello stesso tempo avere la pretesa di alludere ad un’archeggiatura e ciò ne fa un’azione museografica piuttosto che restaurativa.

Ambedue i casi non possono essere definiti anastilosi in quanto manca una condizione sostanziale per essere classificati tali la quale è che le costruzioni debbono essere innalzate a secco. È bene, per completezza di discorso, ricordare in conclusione che le categorie del restauro includono il restauro filologico il quale si basa sulle evidenze sopravvissute e il restauro stilistico nel quale si assume nel decidere il da farsi quale modello lo stile del tempo in cui viene realizzata l’opera, greco, romano, ecc. non la realtà concreta di quell’architettura.

Francesco Manfredi Selvaggi688 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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