Il biglietto d’ingresso ad Altilia per gli ovini diretti all’alpeggio

di Francesco Manfredi-Selvaggi
Con l’introduzione del ticket per entrare alla città romana si spezza la visita al territorio di Sepino separando Saepinum dal suo contesto. Questo insediamento era invece strettamente legato al territorio circostante, prendi il tratturo che è il decumano e il cardo che conduce a Terravecchia come dice il nome stesso della porta in cui si conclude (Ph. F. Morgillo-All’esterno di Porta Benevento a Altilia)
Se a S. Vincenzo al Volturno il terreno è di proprietà della Regione ad Altilia è di proprietà dello Stato e ciò ha influenza, di certo, sulla possibilità per l’amministrazione regionale di concorrere a definire i criteri di gestione del sito. Qui si vuole affrontare non la questione gestionale in generale, ma solo quanto il tema della conduzione dell’area archeologica è connesso con quello della tutela del paesaggio. Si inizia con il dire che le zone di valenza archeologica sono secondo la legge Galasso automaticamente ambiti di valore paesaggistico. Mentre è stata l’autorità statale ad imporre il vincolo archeologico ad Altilia quella regionale ha stabilito una fascia di rispetto assoluto larga 150 metri circostante alle sue mura inserendo una apposita norma nel piano paesistico del comprensorio del Matese, preludendo quasi 30 anni prima alla nascita del Parco Archeologico che in quanto parco dovrà occuparsi pure dell’intorno dell’antica città.
In verità a tutt’oggi non si sa quale è il perimetro del parco. Una riflessione approfondita dovrà essere fatta sulla dimensione del parco che ancora, stranamene, non è stata avviata, se va inteso ristretto all’abitato o esteso alla sua area d’influenza, l’influenza esercitata sul territorio da questo significativo fatto urbano. La perimetrazione è una operazione delicata, l’esperienza del parco del Matese docet. L’introduzione di un biglietto di ingresso fa intendere che il Parco coincida con l’insediamento abitativo, non vada oltre. Il ticket che consente di entrare ad Altilia da un lato appare quale azione tendente alla musealizzazione del castrum romano, le sue mura come recinto museale, dall’altro lato fa correre il rischio di separare la visita a Saepinum da quella del contesto territoriale direttamente connesso a essa.
Ciò è abbastanza limitativo del concetto di parco che si va a definire. Prendi il caso del cardo, per essere espliciti, il quale non può essere letto come un semplice segmento della maglia viaria cittadina perché esso è l’asse percorso dalle greggi che si spostano da valle a monte per l’alpeggio e quindi prosegue oltre Porta Terravecchia, non si arresta lì. Se non si capisce tale legame della strada presente nell’insediamento urbanistico con la monticazione, non si comprende bene neanche il ruolo di Terravecchia la quale è a presidio del passaggio delle pecore. Si rinunzia, in qualche maniera, a mettere in connessione o, ancor meglio, in contrapposizione le mura in opus reticolatum dell’urbs di fattura pregevole con quelle megalitiche, utilizzando un termine evocativo ciclopiche, una tipologia di apparato murario ricorrente nell’intero bacino del Mediterraneo, dell’oppidum altrettanto, a loro modo, belle.
Terravecchia è un po’ l’antenato e il discendente di Altilia, tutte e due le cose, la sua impronta più forte è sannitica, dunque preromana mentre Altilia è romana, il suo ripopolamento in età altomedioevale è testimoniato dalle tracce di 2 chiese paleocristiane, mentre prove dello spopolamento di Altilia sono le zero chiese rinvenute. Ci si consenta una brevissima digressione relativamente a questo insediamento fortificato, una roccaforte, posto su un rilievo montano ed è che ci sono punti strategici, nel nostro caso alture, utilizzabili per il controllo della transumanza in “verticale” che se non lo fai tu se ne impossessa qualcun altro e allora è preferibile, è evidente, anticipare le pretese di occupazione altrui.
Costituisce un inciso anche l’osservazione che è utile consentire il raffronto de visu da parte di chi voglia includere nel tour turistico insieme ad Altilia pure Terravecchia, la comparazione, tra le porte urbiche della prima con quelle della seconda, della logica che presiede il sistema complessivo delle entrate in queste due differenti entità insediative. Ad Altilia le porte la cui forma è simile a quella degli archi di trionfo con iscrizione celebrativa sul frontone lato campagna sono un fattore di orgoglio per la cittadinanza più che barriere, mobili in quanto apribili, verso l’esterno e del resto Roma cui dipende Altilia non avrebbe consentito lo stop del traffico lungo il tratturo che l’attraversa il quale funge da importantissima direttrice di percorrenza e, Altilia nasce su un incrocio stradale, bloccare il tratturello, cioè l’andar per monti.
A Terravecchia, al contrario, le porte non hanno alcuna magnificenza come mostra la superstite Postierla del Matese poiché sono funzionali a rapide sortite per attaccare eventuali avversari che transitano sul sentiero dell’alpeggio, non hanno scopi di rappresentanza; esse sono di sezione trasversale ristretta poiché i tempi devono essere ristretti tra il momento dell’apertura e quello della chiusura dei battenti, più si allungano più c’è il pericolo di intrusione dei nemici all’interno, detto diversamente sono dei piccoli varchi nella cerchia fortificata.
Per tali ragioni difensivistiche ci sarebbe stato da aspettarsi che gli accessi fossero pochi cosa che non è e la giustificazione di ciò è la seguente, precisando, comunque, che la motivazione che si va ad esporre non è specifica per questa realtà, ma è valida per qualsiasi insediamento posto su un punto del territorio rialzato: dovendo garantirsi lo smaltimento delle acque piovane occorre predisporre delle wayout per il deflusso idrico il cui numero occorre che sia perlomeno uguale a quello dei versanti del colle su cui è appoggiato l’aggregato edilizio. In definitiva, avrebbe un indubbio valore dal punto di vista didattico ai fini della conoscenza dell’eredità architettonica il confronto tra Terravecchia e Altilia per cui sarebbe opportuno invogliare alla visita di entrambe le località.

Francesco Manfredi Selvaggi688 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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